Nel 2021 era entrata in vigore la discussa legge del Texas che impediva di accedere all’aborto dopo sei settimane di gravidanza (anche in caso di stupro ed incesto). La Corte Suprema degli Stati Uniti in quell’occasione aveva preso la decisione di non sospendere tale legge. Stessa cosa era accaduta in Mississipi, che aveva promulgato una legge che vietava di abortire dopo le quindici settimane. Prima di Roe contro Wade la normazione dell’aborto era competenza di ciascuno Stato, che con propria legge poteva disciplinare la materia; all’epoca, in almeno trenta Stati l’aborto era considerato reato, in tredici era considerato legale ma solo in caso di pericolo per la gestante, stupro, incesto o malformazioni fetali, in tre Stati era legale solo in caso di stupro o di pericolo per la donna, ed infine soltanto in quattro Stati la richiesta della donna era unico requisito. Quando nel 1972 la storia di Jane Roe approdò avanti alla Corte Suprema, ai giudici venne chiesto se la Costituzione federale riconoscesse un diritto all’aborto anche in assenza di problemi di salute della donna, del feto e di ogni altra circostanza che non fosse la libera scelta della donna. La Corte decise con la famosa sentenza del 22 gennaio 1973, con una maggioranza di sette giudici su nove, stabilendo importanti principi: il diritto federale della donna alla libertà di abortire per qualsiasi ragione (e non solo per tassative motivazioni previste dallo Stato), fino al punto in cui il feto fosse divenuto in grado di sopravvivere fuori dall’utero materno, anche con l’ausilio di un supporto artificiale, e in caso di pericolo per la salute della donna anche oltre la soglia menzionata. Si comprende agevolmente come si sia trattato di una sentenza rivoluzionaria: condizionò le leggi di quarantanove Stati, garantendo il diritto di abortire a milioni di donne.
Era stata sollevata avanti alla Corte Suprema questione per valutare la legittimità costituzionale della legge dello Stato del Mississipi, che (come quella del Texas) escludeva la possibilità di interrompere la gravidanza all’interno dello Stato dopo le quindici settimane, salvo caso di pericolo per la donna incinta. Nello specifico, il caso ha visto coinvolti il capo del Dipartimento di Salute del Mississipi, Thomas Dobbs, e la Jackson Women’s Health Organization, l’unica clinica dello Stato in cui si effettuavano ancora servizi di interruzione di gravidanza, che aveva fatto ricorso avanti alla Corte contro la decisione confermativa dei giudici. Inizialmente, lo Stato del Mississipi aveva chiesto la convalida della legge, ma successivamente aveva ampliato la propria domanda con l’obiettivo di ribaltare quanto disposto dalla pronuncia Roe contro Wade. In particolare, gli avvocati che sostenevano tale nuova richiesta ritenevano che: «nella Costituzione, nella struttura, nella storia e nella tradizione degli Stati Uniti non ci sia nulla che sostenga il diritto all’aborto, e che ciascuno stato dovrebbe essere libero di decidere se e quando vietarlo». Invece, la clinica Jackson Women’s Health Organization sosteneva che in virtù della pronuncia Roe contro Wade sussistesse un diritto federale all’aborto, alla luce delle consolidate conferme giurisprudenziali della Corte stessa. Qualche settimana fa, uno dei giudici conservatori della Corte Suprema aveva preannunciato ciò che è oggi accaduto: «La Roe contro Wade è stata sbagliata fin dall’inizio in modo eclatante. Il suo ragionamento è stato eccezionalmente debole, e la decisione ha avuto conseguenze dannose».
A fronte della decisione della Corte Suprema del 24 giugno 2022, dunque, gli Stati tornano a poter normare a proprio piacimento il diritto all’aborto. Precisamente, si legge nella stessa: «La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto. L’autorità di regolare l’aborto torna al popolo e ai rappresentanti eletti». Si evidenzia che tale decisione sia stata presa con 6 voti favorevoli e 3 contrari. Questi ultimi, ossia il giudice Stephen Breyer e le giudici Sonia Sotomayor ed Elena Kagan, hanno rilasciato una dichiarazione che esprime il loro dissenso: «Con dolore per questa Corte, ma ancora di più per le milioni di donne americane che oggi hanno perso una fondamentale tutela costituzionale, noi dissentiamo». Pochi minuti dopo la lettura della pronuncia, fuori dalla Corte è scoppiata una protesta, ed i manifestanti stanno attualmente aumentando.
Stefania Piva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
È nata e vive a Milano. È Avvocato, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia, e si è specializzata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università Statale di Milano. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano.