Cos’è successo durante i primi dodici mesi della presidenza Trump? Dall’Obamacare all’immigrazione, dalla ripresa economica alle pessime politiche internazionali, passando per questioni climatiche e fake news.
La sera dell’8 novembre di un anno fa, vinceva le elezioni americane l’irriverente imprenditore repubblicano Donald Trump, schierato contro la candidata democratica Hillary Clinton. A seguito di un’iniziale entusiasmo da parte dei suoi elettori, stanchi di politiche penalizzanti, oggi l’appeal del tycoon newyorkese appare più sbiadito che mai. Un recente sondaggio del Washington Post ABC-News ha rilevato che, a un anno dalla vittoria, l’indice di gradimento verso il Presidente è al 37% (nemmeno quattro americani su dieci apprezzano il suo operato), il livello più basso registrato negli ultimi 70 anni. Ma impopolare o meno, quali sono i cambiamenti portati da questa nuova presidenza? Tra promesse mantenute e scivoloni degni di nota.
L’abolizione della riforma sanitaria promossa dalla precedente presidenza Obama, sembrava essere una questione di facile risoluzione, ma, una volta affidatane la gestione nelle mani dell’incapace leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, ancora oggi non è stata possibile. Dopo una serie di vani tentativi, il 12 ottobre Trump in persona ha firmato un decreto con il quale punta a eliminare l’Affordable Care Act, ossia la cancellazione dei sussidi economici per i cittadini con basso reddito economico. L’Obamacare aveva rappresentato una vera e propria rivoluzione, dando la possibilità a più di venti milioni di persone di poter usufruire dell’assicurazione sanitaria, nonostante le difficoltà economiche.
Fattore decisivo sulla vittoria è stata la forte propaganda contro l’immigrazione e gli stranieri. Le ripetute promesse di rendere l’America un Paese il più sicuro possibile, costruendo un muro al confine con il Messico, aumentando le spese militari e impedendo ai cittadini di Paesi musulmani di poter immigrare sul suolo statunitense, sono state attuate solo in parte. La costruzione del muro antiimmigrati alla frontiera messicana, ha sollevato più contestazioni che consensi, e per questo motivo è ancora in una fase di prototipazione. Il Congresso, per ora, ha stanziato 20 milioni per la pianificazione di un modello ipotetico, ma i fondi per una reale edificazione non sono ancora stati versati. Cavalcando l’onda populista, Donald Trump aveva più volte promesso che avrebbe fermato l’immigrazione da Paesi musulmani e da territori ritenuti rischiosi per la sicurezza. Ogni tentativo, però, è stato bandito del tutto, o in parte, della magistratura. Oggi le porte agli stranieri sono ancora aperte, ma con regole più severe. L’ultimo Travel Ban mette sulla lista nera i cittadini di Iran, Libia, Siria, Yemen, Somalia, Corea del Nord, Ciad e Venezuela, accusati di non fornire le informazioni di sicurezza richieste dagli Stati Uniti.
Se con l’uscente Presidente Obama la crescita economica media era dell’1,8%, l’ultimo trimestre, con il tycoon al governo, ha registrato un miglioramento del PIL del 3%. A un anno dal suo insediamento sono stati creati oltre un milione di nuovi posti di lavoro e il Dow Jones, per la prima volta nella storia, ha raggiunto 23.000 punti. Un successo economico del quale potrà certamente festeggiare, anche se Steve Mnuchin, segretario al Tesoro, avverte che un’ulteriore crescita sarà possibile solo se il Congresso approverà la nuova riforma fiscale. Con il provvedimento che dovrebbe essere licenziato entro Natale è previsto, invece, un ulteriore ribasso delle tasse per il ceto medio, nonché tagli netti alle imposte per le imprese.
Dopo la promessa di abbandonare gli accordi sul nucleare con l’Iran, definendola una delle peggiori intese mai sottoscritte, il Presidente americano ha fatto un passo indietro. Sono stati, tuttavia, fissati, in accordo con il Congresso, nuovi limiti da rispettare oltre i quali Teheran subirebbe nuove sanzioni. Un bell’assist al governato Nord Coreano Kim Jong Un: se il risultato diplomatico equivale a un nulla di fatto, assisteremo, ancora per molto, a una battaglia psicologica a suon di provocazioni tra i due Presidenti mal pettinati. Sulla questione israelo-palestinese, invece, Trump si era posto come un nuovo Messia risolutore; ma per ora, l’unica realtà concreta è stata quella di ritirare gli USA dall’UNESCO. Risulta difficile comprendere come sarà possibile risolvere una questione, già di per sé complicata, creando ulteriori tensioni tra i due territori. E se di America First possiamo parlare, il continente africano, allo stesso tempo, non è mai stato lasciato così alla deriva. Le prime parole sono state spese soltanto otto mesi dopo il suo insediamento, definendo l’Africa come un territorio di nessuno, luogo fertile per la creazione di nuovi soldati utili alla lotta contro il terrorismo e per gli investimenti economici da parte dei suoi “amici”, ricchi imprenditori. Insomma, più sfruttamento che aiuto per questo continente, sempre più vittima di un divario economico enorme tra primo e terzo mondo.
In questo caso, le promesse sono state purtroppo mantenute e il nuovo eletto ha cancellato il Clean Power Plan, attuato precedentemente da Barack Obama e finalizzato alla riduzione dell’inquinamento atmosferico. Come da sempre sostenuto, per lui la questione del cambiamento climatico è del tutto irrilevante, anzi, danneggia lo sviluppo economico e la creazione di nuovi posti di lavoro. L’America, che insieme alla Cina è la nazione che produce più smog in assoluto, si era impegnata a ridurre le proprie emissioni del 25% entro il 2025, procedimento appunto interrotto, tanto che il Presidente ha deciso di abbandonare l’accordo di Parigi, firmato da 195 nazioni. L’iter di uscita però sarà molto lungo ed entrerà in vigore ufficialmente nel 2020, anno in cui Trump potrebbe non essere più il capo degli Stati Uniti.
Non è un caso che la parola dell’anno 2017, secondo il dizionario Collins, sia Fake News. Il Presidente in questione, nell’arco dei dodici mesi trascorsi, si è più volte scagliato contro ogni genere di media (dalla CNN al New York Times) accusandoli di produrre un’informazione volutamente distorta, volta alla sua denigrazione. Curioso che queste critiche provengano da un soggetto che ha più volte abusato dell’uso dei social network, Twitter primo su tutti, per esprimere pareri più che discutibili e molto spesso infondati. 140 caratteri sono più volte bastati per sminuire ogni genere di categoria non gli andasse a genio: dal femminismo all’omosessualità, dal terrorismo alle istituzioni. Una fabbrica del consenso basata sull’ignoranza dilagante di un uomo il cui motto potrebbe essere «nel bene o nel male, purché se ne parli!».
Sara Forni
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