Moneta unica, anno XV. È trascorso esattamente un lustro da quando, il 1° gennaio del 2002, entrò in vigore l’euro. Da allora ne è passata d’acqua sotto i ponti in tutti i sensi e come ogni anniversario che si rispetti è arrivato il momento di tirare le somme in merito al percorso d’unificazione economica e monetaria intrapreso dopo Maastricht (1992).
Aprendo una finestra sull’Europa vediamo come la valuta segua due velocità: da una parte ci sono i virtuosi Paesi del Nord, “capitanati” dalla Germania della cancelliera Merkel, e dall’altra l’andamento lento dell’area mediterranea e tutte le conseguenze che ne derivano. La moneta unica è finita sul banco degli imputati alla luce della perdita del potere d’acquisto da parte delle famiglie italiane, sensibilmente acutizzata con l’avvento della crisi economica nel 2008 che ha ampliato il divario tra le classi sociali. Nel frattempo le tasche della famiglia tipo si sono inesorabilmente prosciugate con il passaggio dalla lira all’euro. La “mannaia” del carovita si è abbattuta in misura maggiore sui prodotti d’uso e consumo quotidiano con effetti già visibili all’ingresso dell’Italia nella cosiddetta “eurozona“. Dito puntato contro quei rialzi avvenuti il più delle volte in maniera grossolana, superficiale, generalizzata, elevata.
In questi anni il consumatore medio è stato quindi spettatore inerme di fronte agli aumenti di tutta una serie di beni e di servizi di largo consumo. Dall’introduzione dell’euro sino ad oggi, i cittadini italiani hanno dovuto far fronte a rincari medi del 59,1 % (dato Codacons), con una spesa pari a 14.183 euro per nucleo familiare. Nei fatti la crisi ha tagliato le gambe al ceto medio e alla piccola media-impresa di provincia, per anni vero motore trainante dell’economia italiana, dando forma – politica – al messaggio euroscettico.
Gabriele Mirabella
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