Una vera e propria caccia alle streghe, quella contro gli studenti italiani che non riescono a laurearsi in tempo. Dalle stanze ministeriali, infatti, sono stati assegnati dei fondi pubblici agli atenei, mettendo in pratica la grande novità del «costo standard per studente in corso», cancellando così dall’università italiana almeno 700.000 studenti fuori corso. Il tutto creerà un meccanismo di disuguaglianze date principalmente dall’aumento vertiginoso delle tasse per gli studenti che non si laureano nei tempi previsti. Ma non solo: vi è anche la tentazione degli atenei di abbassare il livello delle prove d’esame, dando la possibilità da una parte di accelerare il percorso verso la laurea, ma dall’altra di abbassare ancora di più la qualità delle università italiane nel mondo.
Uno studio pubblicato da L’Espresso pone l’università del capoluogo sardo al primo posto per numero di studenti che ancora non hanno terminato gli studi. Il 53% degli studenti sardignoli è, infatti, fuori corso, seguita da quella di Catania, ben lontana dalla media italiana del 37%. I problemi con il nuovo decreto stanno iniziando a sentirsi negli atenei italiani. Ad esempio, nelle università dai numeri imponenti di iscritti, gli studenti messi fuori con il nuovo calcolo dei fondi sono stati migliaia. Per non parlare della Sapienza, dell’ateneo di Palermo, della Federico II di Napoli e della Statale di Milano che contano migliaia di iscritti ogni anno ma che, con il nuovo decret,o hanno perso cifre esorbitanti di studenti ai fini di bilancio. I “fuori corsisti” saranno, quindi, solo un “peso morto” per le istituzioni italiane, diventando un costo inutile ed eccessivo per lo Stato. Oltre al danno, la beffa: dopo la stangata del costo standard, l’allora sottosegretario Michel Martone del governo Monti definì gli studenti fuori corso degli sfigati.
Prima di pensare ai problemi degli studenti fuori corso, tuttavia, sarebbe il caso che le istituzioni si occupassero di problematiche ben più gravi all’interno degli atenei dello Stivale, come l’insufficienza di attrezzature, laboratori inadeguati e strumenti didattici spesso neanche forniti ai frequentanti. Gli studenti, inoltre, spesso si trovano impossibilitati a seguire lezioni a causa di aule troppo piccole o, addirittura, del tutto assenti, realtà che obbligano i professori ad inventarsi delle vere e proprie “lezioni a cielo aperto”. Gli studenti fuori corso di alcuni atenei, peraltro, spesso si trovano in difficoltà anche per piccolezze: ad esempio, cambiare una materia a scelta prevista nel proprio piano di studi con un’altra diventa un vero e proprio calvario, semplicemente perchè l’immatricolato è fuori corso.
Guido Fiegna, direttore generale del Politecnico di Torino, ha recentemente rilasciato delle importanti dichiarazioni sul tema studenti fuori corso: «Si farebbe molta pulizia se si utilizzassero di più le iscrizioni “part-time“, per gli studenti lavoratori, solo che le università fanno resistenza, proprio per non perdere iscritti e poi non si capisce perché nel costo standard si calcolano solo gli studenti iscritti ai corsi, e non chi sta facendo il dottorato di ricerca, come se questi non studiassero». Inoltre, con il decreto dell’FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario) del ministro Giannini, gli studenti fuori corso non verranno più conteggiati al fine del riparto dell’FFO stesso. Ciò comporta un intensivo aumento delle tasse universitarie per tutti gli studenti che non si laureano in tempo e, quindi una disincentivazione a proseguire nel proprio percorso accademico. Infine, il decreto prevede un intervento perequativo che servirà a tener conto delle differenze territoriali e contributive degli studenti. Saranno specialmente gli studenti degli atenei del sud a rimetterci di più: infatti, da quando il governo Monti ha eliminato il limite di tassazione verso i fuori corso, gli atenei possono aumentare a proprio piacimento le imposte, mettendo in difficoltà le università che, invece, cercano di limitare le spese per permettere a tutti un reale diritto allo studio.
È stato reso noto lo scorso dicembre dal Miur (Ministero Istruzione Università e Ricerca) un decreto sulla ripartizione delle risorse per il turn-over che per ogni due docenti universitari in pensione, potrà essere assunto solo uno. Tuttavia, non è detto che l’ateneo in cui vengono congedati i professori sia lo stesso in cui ne vengono assunti dei nuovi. Per cui se, ad esempio, ci sono due pensionamenti presso l’ateneo di Milano, non è detto che il nuovo docente verrà assunto nello stesso ateneo. Durante il convegno The State of the Union tenutosi a Firenze, il ninistro dell’Istruzione Stefania Giannini aveva annunciato che non ci sarebbero state nuova riforme a breve, bensì solo importanti provvedimenti e cambiamenti. A quanto pare, però, le cose non sono andate esattamente così.
Marcello Strano
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