PALERMO – Nino Di Matteo, il pubblico ministero che indaga sulla Trattativa Stato-Mafia, deve morire. La nera sentenza è stata intercettata mesi fa tra le mura del carcere in cui è rinchiuso il boss Totò Riina: «Gli farei fare la fine del tonno a questo Di Matteo, del tonno buono: facciamola grossa questa cosa, facciamola presto e non ci pensiamo più». La minaccia non è nuova, considerato che già un anno fa una lettera anonima informava che gli “amici romani” del magistrato hanno deciso di eliminarlo. Inoltre, il pentito Zarcone ha confessato che l’ordine di uccidere il pm è partito nel 2008, ma non è stato eseguito tempestivamente poiché il capoclan della zona in cui la vittima trascorreva le vacanze si è rifiutato.
Un summit dei maggiori esponenti di Cosa nostra ha decretato che la fine di Di Matteo avverrà con del tritolo a Palermo oppure con bazooka e kalashnikov a Roma. È questa la confessione di un altro pentito di Mafia, il quale tuttavia si rifiuta di fornire ulteriori dettagli tramite una collaborazione ufficiale con gli organi investigativi. La soffiata svela che già, tra le vie di Palermo, è ben nascosto l’esplosivo raccolto laboriosamente dalle famiglie mafiose locali negli ultimi mesi. A subire minacce sono anche gli altri titolari dell’inchiesta: Tartaglia ha patito una sospetta irruzione in casa, mentre l’ufficio di Scarpitano è stato violato.
In procura ed in città le nubi dell’attentato si addensano all’orizzonte. Il Ministro di Giustizia Orlando da New York chiede informazioni riguardo alle misure adottate. Nel capoluogo siciliano sbarcano le teste di cuoio, cioè le unità speciali di polizia e carabinieri specializzate in situazioni d’alto rischio. Il pubblico ministero è seguito da una scorta di nove uomini e si muove su tre auto blindate. Salvatore Borsellino (fratello di Paolo, il magistrato ucciso nelle stragi di mafia del 1992) richiede l’utilizzo del bomb jumber, strumento capace di neutralizzare gli ordigni posti nelle vicinanze degli automezzi usati da Di Matteo, ma il Ministero non ascolta la supplica.
Il pm Teresi confessa: «Abbiamo paura, sì, lo ammetto. E siamo preoccupati. Si dice che il tritolo sia pronto, mettetevi nei nostri panni. Queste notizie creano tensione e ansia anche nei nostri familiari», concludendo con un messaggio fermo ed eroico: «Ma raccogliamo la sfida a continuare».
Claudia Rodano
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