Fin dall’infanzia – e in particolare negli anni ‘90 – il concetto di perfezione fisica femminile è stato associato, soprattutto dalle bambine, a una delle bambole più famose in tutto il mondo: Barbie. Commercializzata dalla Mattel, nel 1959 questa fashion doll fece la sua prima apparizione nei negozi, indossando un costume zebrato e portando lunghi capelli neri raccolti in una coda. Già nel suo primo anno di vita, furono venduti 350 mila esemplari per arrivare, oggi, a circa un miliardo, ragion per cui oltre ad essere la punta di diamante della casa di produzione, Barbie rimane anche la bambola più venduta al mondo. Fisico perfetto, capelli lunghi, gambe chilometriche e sorriso smagliante. Una volta cresciuti però, ci si rende conto che la bellezza è del tutto soggettiva: essa non conosce parametri imposti a priori proprio perché può essere espressa in tante forme e con annesse imperfezioni.
Questo concetto è stato espresso e sviluppato in Inghilterra tramite #toylikeme, campagna promossa da genitori di bambini disabili e volta a sensibilizzare sia la società che le case produttrici di giocattoli. Come spiega Rebecca Atkinson, giornalista non udente e promotrice del progetto «quando ero piccola, non ho mai visto una bambola come me. Avevo due apparecchi acustici. Nel mondo reale c’erano persone come me. Nel mondo delle bambole era come se io non esistessi. Cosa diciamo ai sordi e ai bambini disabili? Che non ne vale la pena? Che sono invisibili nella società?». La Atkinson, insieme a Melissa Mostyn e Karen Newell – rispettivamente non udente con una figlia sulla sedia a rotelle e consulente esperta di giocattoli con un figlio non vedente – hanno creato la prima linea di bambole affette da disabilità. Successivamente, tramite un gruppo creato su Facebook, hanno chiesto ad altri genitori di postare foto e idee per la creazione di altri giocattoli. «Vogliamo che i nostri figli possano giocare con giocattoli che davvero li rappresentino, senza che si sentano obbligati a corrispondere a modelli di bellezza e perfezione imposti dalle industrie del giocattolo» dichiarano gli aderenti al progetto.
L’iniziativa è stata subito apprezzata e a pochi giorni dal suo lancio, i sogni delle tre mamme inglesi sono stati avverati: la Makies, azienda produttrice di giocattoli – specializzata in creazioni con stampe 3D – ha realizzato le prime bambole personalizzate su misura e affette da disabilità. «Makies ha intenzione di produrre la bambola che i bambini e i loro genitori hanno disegnato ad hoc. Ogni bambola Makie è unica e personale» spiega Jen Bolton, direttore della comunicazione del MakieLab, e prosegue «ci piace far succedere questo genere di cose. Toy Like Me si è presentata come un’occasione unica e meravigliosa, così ci siamo buttati a piè pari nell’impresa». L’intervento immediato da parte della Makies ha portato però con sé i primi dibattiti. Se da un lato, questa campagna è considerata un passo avanti verso l’uguaglianza tra tutti i bambini, dall’altro si ha paura di strumentalizzare la disabilità e di cadere, di conseguenza, in un vero e proprio pietismo nei confronti dei “meno fortunati”.
Per il momento una cosa è certa: questo è un primo vero approccio verso il tema della diversità che riguarda tutti, sia grandi che piccoli. E se un bambino riesce ad identificarsi con il prossimo, a non sentirsi diverso dagli altri e a sorridere grazie ad un giocattolo, non è stato forse raggiunto un importante obiettivo?
Martina Lo Giudice
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