Dall’inizio dei tempi evoluzione umana e linguaggio sono andati di pari passo. Nella lingua si è sempre rispecchiata la comunità in cui essa veniva parlata. Infatti, dato il rapporto reciproco, la lingua è un potente strumento che dona identità. Inoltre, essa è in grado di adattarsi ai bisogni umani che variano continuamente.
Nel corso della storia umana si sono stabiliti alcuni pregiudizi all’interno della società, soprattutto per quanto riguarda le regioni di provenienza o il genere a cui si appartiene. In questo caso parliamo delle donne, da sempre considerate in modo differente dall’uomo, vittime di numerosi pregiudizi che trovano spazio persino nella lingua.
Tuttavia, la lingua di per sé non è discriminatoria, varie persone vedono in alcuni usi linguistici semplicemente il proseguimento di una tradizione, senza collegarci una discriminazione di genere.
Con sessismo si fa riferimento a un “termine coniato nell’ambito dei movimenti femministi degli anni Sessanta del Novecento. Esso indica l’atteggiamento di chi (uomo o donna) tende a giustificare, promuovere o difendere l’idea dell’inferiorità del sesso femminile rispetto a quello maschile”. E dunque “la conseguente discriminazione operata nei confronti delle donne in campo sociopolitico, culturale, professionale, o semplicemente interpersonale…“(Treccani).
Molte professioni, si crede siano possibili indicarle esclusivamente al femminile. Si pensi ad esempio a “ingegnere”, “ministro”, “medico” ed altre ancora, termini considerati da alcuni come aberranti al femminile (anche se corretti). Anzi, se si ricopre tale professione, è preteso che essa non venga grammaticalmente sconvolta al femminile.
Alcune parole si è, infatti, abituati a sentirle al maschile. Questo perché, nei secoli scorsi, erano lavori prettamente effettuati da uomini e solo con il passare del tempo sono stati svolti anche dalle donne.
Allora, per via della tradizione ormai trasmessa, spesso si preferisce lasciare la parola con desinenza maschile, considerata nella lingua italiana come neutro. Invece, come opinione opposta, c’è chi rifiuta questa prospettiva e afferma la necessità di un inclusione linguistica maggiore in questo settore.
Altro punto di non ritorno, è l’utilizzo di articoli ed altri elementi grammaticali, che al plurale sono indicati al maschile, anche se nel gruppo di persone indicato vi è un individuo di sesso femminile. Inoltre, attraverso la sempre più presente rivalsa della comunità Lgbtiaq+, si cercano modi per trovare pronomi e altre flessioni delle parole neutri, in modo tale da poter coinvolgere tutti i generi all’interno delle lingua. Ad esempio sempre più frequente è l’utilizzo di asterischi e schwa inglese per cercare di essere sempre più inclusivi.
Questi appena elencati sono argomenti da sempre molto dibattuti, poiché vi è chi non trova alcuna discriminazione nella nostra lingua ma solo chi ha pregiudizi li vede riflessi su essa.
Altri, invece, credono che sia arrivato il momento di usare anche le categorie femminili e cercare una soluzione che faccia a sentire a proprio agio tutte le identità di genere. Quale sarà l’epilogo di questa battaglia linguistica?
Fonti dati: Berruto, sociolinguista.
Sara Sapuppo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Nata a Catania nel 2000, Sara sin da bambina ha sempre voluto lasciare il segno in questo mondo, e non appena entrata nella sua adolescenza ha capito che il modo migliore per farlo era la comunicazione. Infatti, dopo essersi diplomata nel settore turistico, si scrive e frequenta sino ad ora la facoltà di Scienze e Lingue per la Comunicazione presso l’Università di Catania.
Tra le sue passioni spiccano quelle per la musica e quella di interessarsi di ciò che accade attorno a lei quotidianamente, battendosi per la difesa di quelli che sono i diritti ( ma anche doveri eh!) umani. Per questo, cerca da qualche anno a questa parte di poter interagire con gli altri attraverso blog e i social.