Le misure drastiche assunte per contrastare la diffusione del Coronavirus sono innumerevoli, in questo momento in cui possiamo proprio parlare di pandemia. Strutture ospedaliere al collasso, con il conseguente richiamo di personale, italiano, medico e infermieristico dai Paesi europei ed extraeuropei; complessi ricettivi chiusi per quarantena o precauzione; bar, discoteche, pub, eccetera, con l’ordine perentorio di restare chiusi fino a data da destinarsi; e luoghi di lavoro, di conseguenza, inaccessibili. Insomma, il mondo sembra stare andando a rotoli a causa del Coronavirus, che sostanzialmente, somiglia di gran lunga alla famigerata Sindrome Respiratoria Acuta Grave, meglio conosciuta come SARS, ma che, tempo addietro, si riuscì a mettere fuorigioco in poco tempo. In molti si chiedono, difatti, come mai il Coronavirus stia sopravvivendo a tutto, espandendosi a macchia d’olio come niente fosse, eppure, il mondo cerca di andare avanti ugualmente senza fermarsi mai – nemmeno di fronte alla paura.
In tal proposito, al fine di evitare che aziende e imprenditori falliscano prima che il Covid-19 venga messo knock-out, si è dato il via, direttamente dalla Cina, al più grande esperimento di smart-working. Nello specifico, la gente solitamente impegnata in lavori d’ufficio, all’interno di costruzioni gigantesche con migliaia d’impiegati al seguito, ha trasferito le relative mansioni in casa propria, da svolgersi attraverso un computer, con, quindi, imprese attivatesi per permettere questo tipo di operazioni. Nella normalità dei fatti, in Italia sono, circa, 480 mila le persone che lavorano da casa, ma oggi, e fino a data da destinarsi, il numero sembra destinato a subire una rilevante impennata. Nondimeno, comunque, si tenta di vedere il bicchiere mezzo pieno, cercando di trarre, da questa situazione, quello che sarà l’effetto positivo in termini di ambiente. Come riporta Esquire, infatti, lo smart-working apporterà notevoli benefici al nostro ecosistema.
Nello specifico, lavorando da casa si diminuiscono di gran lunga le emissioni di CO2 nell’atmosfera, elemento che contribuisce a un inquinamento che rende l’aria insalubre e, spesso, portatrice di malattie. Negli Usa, addirittura, si è calcolato che se ogni dipendente lavorasse da casa almeno una volta alla settimana, si ridurrebbe l’ammorbamento di, oltre, 423 mila tonnellate di gas serra – al di là dei milioni di litri di benzina e diesel i quali rimarrebbero, sì, nelle pompe, ma utili a far risparmiare ai consueti pendolari milioni di euro (o di dollari) di spesa. Per di più, si parla anche di riscaldamento degli ambienti lavorativi, che secondo le stime, “coopera” attivamente nella produzione di anidride carbonica. Cosa che aumenta con il periodo invernale, ancor di più se siti in casa propria. In ogni caso, le tematiche da tenere in considerazione sono innumerevoli, soprattutto se al centro dell’attenzione si mette la nostra nazione. Giacché lo smart-working, secondo i costi impiegati durante il riscaldamento, essi ricadrebbero sulle spalle dei lavoratori.
Con questo non si pensa che lo smart-working non sia una cosa buona: anzi, come su detto, il territorio ne trarrebbe un enorme beneficio; ma il tutto, purtroppo, non può ricadere, economicamente parlando, sul capo di chi lavora e cerca di guadagnare qualcosa per vivere, specialmente al giorno d’oggi in cui trovare un impiego è molto simile a una scommessa al Super Enalotto. In conclusione, quindi, dovremmo, forse, cercare di continuare a vivere la nostra vita “come se niente stia succedendo”, solo attuando le dovute accortezze per evitare che il Coronavirus si espanda ancora. E seppur difficile da farsi, l’unica soluzione è questa se non vogliamo che il mondo, e l’economia di per sé, si annichiliscano.
Anastasia Gambera
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