L’Accademia della Crusca ha deciso: stop agli slang. Secondo gli studiosi dell’importante istituzione italiana è giunto il momento di ricorrere a termini italiani e non stranieri, così da salvaguardare la nostra lingua dagli eccessivi influssi di una globalizzazione ormai totalizzante.
Stop agli slang ed eccone un altro. Ma nell’era della lingua tecnologica e veloce si fa fatica a non usarli, anche se si rischia di snaturare del tutto origini e cultura. È l’Accademia della Crusca, questa volta, a lanciare un appello: «Non usateli!» forse è meglio seguire il consiglio.
Anche se, poi, non farne uso è quasi impossibile: i termini “incipienti” (così come li hanno definiti gli studiosi della stessa istituzione italiana) fanno ormai parte in maniera attiva e integrante delle giornate di tutti. Un esempio? A scuola: la necessità di insegnare e studiare certe materie per tenere il passo dei grandi Paesi, se da un lato viene incontro all’ormai avanzata globalizzazione, dall’altro ha sortito un effetto boomerang tale da trovarsi a fare i conti con una lingua non più “madre”, ma anch’essa multietnica. Si è, per così dire, in una vera e propria rivoluzione culturale e linguistica che ricorda quella della formazione delle lingue neolatine. E il tutto in tempi brevissimi.
È bene dire che, però, in molti campi i neologismi sono importanti, quasi vitali: quando si parla in termini tecnologici, ad esempio, o economici, si può notare come dall’uso di essi dipendano discorsi ben più ampi di una semplice discussione. Per aggiustare un PC si ricorrerà a termini specifici e non generali, molti dei quali difficilmente traducibili in italiano, mentre un docente della facoltà di economia, durante una conferenza, spiegherà un determinato processo con parole come spending review: che, poi, cosa sarà mai questa spending review? Una semplice “revisione della spesa”? No, perché dietro essa c’è un enorme e profondo significato.
Adesso uno dei casi al centro dell’attenzione degli studiosi della Crusca è l’espressione bail-in, utilizzata in modo esplicito soprattutto nell’ultimo caso riguardante la Banca Etruria, per esprimere l’uso forzoso delle risorse dei clienti per far fronte alle difficoltà bancarie. Ma che significa esattamente? «Il termine può essere sostituito con “salvataggio interno”, a vantaggio di chi la utilizza», spiegano proprio gli accademici. Con un conseguente uso di bail-out per “salvataggio esterno”.
La memoria riporta, quindi, facilmente al periodo durato fino agli anni ’60, quando in Italia si era soliti “italianizzare” persino i nomi: celebre il caso del filosofo Francis Bacon, divenuto Francesco Bacone, così come per il meno fortunato René Descartes, trasformato in Renato Cartesio, o gli attori americani. Ma erano altri tempi, con diverse mode e comportamenti: è anche sbagliato demonizzare l’uso di neologismi. Il confine tra l’utilizzo moderato e esagerato, però, è sottilissimo: si rischia di essere risucchiati dalle sabbie mobili di lingue che non sono più quelle originali, con tutto il loro peso e il loro fascino. Anzi, la loro beauty: meglio.
Antonio Torrisi
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