Alla fine, dopo tre mesi in cui il suo esonero era stato paventato e scongiurato di settimana in settimana, Vincenzo Montella si è dovuto arrendere. Il pareggio interno a reti bianche con il Torino, nella quattordicesima giornata di Serie A, è stato paradossalmente teatro di una delle migliori prestazioni stagionali del Milan, capace di creare una grande quantità di occasioni da gol, inesorabilmente fallite da Kalinic e André Silva, invocato per settimane dalla tifoseria e finalmente (?) proposto titolare. Un leitmotiv in questo avvio di campionato, in cui il croato, mai in realtà bomber particolarmente prolifico, ha faticato a trovare la via della rete, mancando appuntamenti da pochi passi e non riuscendo a essere determinante con il suo pressing sulla prima uscita della palla avversaria, come avveniva a Firenze.
Montella, dal canto suo, ha sicuramente molte responsabilità, se si considera come la ricerca di un’identità tattica sia rimasta di fatto incompiuta, visto che anche domenica a San Siro aveva avuto luogo l’ennesimo esperimento, con un 3-5-2 particolarmente ibrido in cui Suso e Bonaventura si alzavano per supportare la coppia di centravanti, che quantomeno ha dimostrato di avere un set di movimenti compatibili, vista la bravura di Kalinic nell’attaccare la profondità e la tendenza del portoghese a venire incontro per scambiare con i centrocampisti o cercare il compagno di reparto in profondità, come avvenuto nella ripresa con un colpo di tacco che aveva messo l’ex attaccante di Fiorentina e Dnipro a tu per tu con Sirigu.
Sarebbe ingeneroso, però, attribuire tutte le colpe di questo fallimento all’ex Aeroplanino, sostituito sulla panchina del Milan da Gattuso. La squadra costruita in estate presenta evidenti difetti strutturali, tra costosi doppioni (Bonucci-Musacchio) e carenze in determinate posizioni, se si pensa che in tutta la rosa non c’è un’alternativa a Kessié o un singolo giocatore che, Suso a parte, possa garantire la capacità di saltare l’uomo.
Un capitolo a parte, poi, lo meriterebbero le eccessive aspettative che hanno accompagnato la campagna acquisti, nella quale ripetendo il mantra “passiamo alle cose formali” si è caricato a molla l’ambiente, con evidenti risultati sul piano del successo al botteghino, basti pensare ai cinquantamila presenti in un giovedì di fine luglio per Milan-Universitatea Craiova. Fassone e Mirabelli, così facendo, hanno sì creato un clima di maggior calore intorno alla squadra, ed era inevitabile dopo anni in cui l’adagio di ogni estate era “non entra nessuno se non esce nessuno” o “ultracompetitivi”, ma hanno generato pressioni insostenibili per un gruppo di giocatori completamente nuovo, composto per lo più da giovani o comunque ragazzi che non avevano mai avuto la possibilità di competere per il titolo, se escludiamo Bonucci e Biglia.
Adesso, toccherà a Gattuso l’ingrato compito di portare a casa gli obiettivi minimi in quella che, inevitabilmente, è destinata a essere la classica stagione di transizione. Il sesto posto occupato dalla Sampdoria dista sei punti (ma i blucerchiati hanno una gara in meno), sicuramente alla portata della formazione rossonera, se si considera anche il calendario favorevole che accompagnerà le prime giornate di Ringhio sulla panchina del club cui ha dedicato gran parte della sua carriera da giocatore. Si tratta del sesto cambio d’allenatore per il Milan dall’esonero di Allegri nel gennaio 2014, in un certo senso lo scoperchiamento del Vaso di Pandora da cui sono emersi poi, nel giro di quasi quattro anni, tutti i mali della società di via Aldo Rossi, in un vortice di errori di gestione tecnica e aziendale dai quali, evidentemente, nonostante lo stravolgimento dei quadri societari, ancora non si sono tratti i doverosi insegnamenti.
Al pari del suo vecchio compagno di squadra Montella, e della dirigenza del Milan, anche Daniele De Rossi fatica a imparare dai propri errori. Nella delicata trasferta di Marassi con il Genoa, sbloccata grazie all’ennesima prodezza di un El Sharaawy particolarmente ispirato in questo avvio di stagione, il capitano giallorosso ha compromesso la partita con uno schiaffetto a Lapadula in area: rigore, espulsione e tutto da rifare per la squadra capitolina, che, non riuscendo a trovare in dieci un nuovo vantaggio, ha anzi rischiato la sconfitta, venendo graziata dall’italo-peruviano in più di un’occasione. Una battuta d’arresto pesante, dopo le cinque vittorie consecutive che avevano restituito fiducia all’ambiente.
L’esonero in casa Milan ha però fatto passare tutto sommato in secondo piano la vicenda, molto dibattuta nella serata domenicale, con la tifoseria divisa tra chi richiedeva provvedimenti esemplari come quello di togliere a De Rossi la fascia, e chi invece difendeva a spada tratta il proprio simbolo, conflitto di fatto sedato dall’intervento di Francesco Totti, che dalla sua pagina Facebook ha comunicato tutto il suo appoggio al compagno di tante avventure, nonché suo successore.
Negli stessi minuti in cui veniva ufficializzata la destituzione di Montella, il Sassuolo confermava quella di Cristian Bucchi, più annunciata rispetto a quella dell’ex Aeroplanino, dato che già domenica, dopo la sconfitta patita nell’anticipo con il Verona, la dirigenza neroverde si era mossa alla ricerca del nuovo allenatore. A sostituire l’ex attaccante di Perugia e Napoli sarà Beppe Iachini, chiamato a risollevare la propria carriera, a un anno dalla deludente esperienza di Udine. Il progetto tecnico, che rischiava di naufragare in seguito al ridimensionamento estivo, può trovare nuova linfa grazie a una guida esperta come quella dell’ascolano, che avrà il compito di ritrovare Domenico Berardi, ormai il lontano parente del talento bramato da mezza Serie A e monitorato a vista dalla Juventus non più di un anno e mezzo fa.
Tornando al campionato, le vittorie di Juventus, Napoli e Inter e i contemporanei stop delle romane sembrano creare la spaccatura tra le tre squadre che si contenderanno la vittoria del titolo e le due che, invece, dovranno accontentarsi di competere per l’ultimo posto che vale l’accesso in Champions League, a meno che i giallorossi non ritrovino rapidamente l’apporto di Dzeko, a secco da quasi due mesi, e gli uomini di Inzaghi non riescano a costruire delle alternative al loro stile di gioco, che si è scontrato in maniera molto dolorosa con avversarie brave nel pressare i primi portatori di palla come Roma e Fiorentina.
Francesco Nardi
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