Per un famelico rapace di nome Peter Sagan che spalanca rabbioso le sue ali sul traguardo di Roubaix c’è anche, purtroppo, una giovanissima rondine che a 147 chilometri dall’arrivo posto nel velodromo più famoso del mondo le chiude tragicamente per sempre. È questo il lato amaro, anzi amarissimo, legato alla drammatica e imprevista scomparsa di Michael Goolaerts, giovane della Veranda’s Willems – Crélan, a caratterizzare e fare da contraltare all’impresa d’altri tempi realizzata dallo slovacco campione del mondo nell’edizione centosedici dell’Inferno del Nord.
Il portacolori della Bora-Hansgrohe, nel pomeriggio, aveva fatto splendere il suo arcobaleno nel cielo della piccola località dell’Alta Francia prima che, a tarda notte, la tremenda notizia del decesso del 23enne belga ammantasse di un nero funereo i resoconti e le sensazioni attorno alla corsa delle pietre appena conclusa.
Michael Goolaerts è rimasto vittima nel secondo settore di pavé (quello di Biastre) dei ventinove previsti di un attacco cardiaco che, nonostante i pronti soccorsi dei medici prima sul posto e successivamente in ospedale, si è rivelato fatale per lui, privando così il mondo delle due ruote di un’altra giovane e potenziale promessa (si era classificato nono alla Dwars door Vlandereen appena un mese fa), ennesimo esponente di quella scuola belga rimasta troppe volte scioccata negli ultimi anni da disgrazie di questo tipo (l’ultimo caso, peraltro simile, è quello di Daan Myngheer al Criterium International nel 2016).
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La notizia del decesso è esplosa in tutta la gravità e portando con sé un indicibile quantitativo di dolore solo in tarda serata ma, già durante il giorno, aveva aleggiato come una nube nefasta lungo tutto lo svolgimento della corsa prepotentemente vinta dal funambolo di Zilina.
Sagan (che subito, come tutto il gruppo, ha manifestato il proprio cordoglio alla famiglia e alla squadra dello sfortunato corridore belga) infatti ha nobilitato la corsa rendendola, come spesso gli accade, tanto memorabile quanto spettacolare. Questo perché, per rincorrere il suo secondo monumento dopo il Giro delle Fiandre del 2016, il tre volte iridato ha scelto la via dell’incertezza e lo stile degli antichi e mitici maestri del pavé, attaccando tutto solo a 54 chilometri dall’arrivo.
Dapprima lui stesso, partendo a sorpresa dalla testa del gruppo, è parso incerto sulle potenzialità dell’azione ma successivamente, sfruttando secondo dopo secondo la decisiva incertezza serpeggiante tra i suoi inseguitori, ha preso sempre più vigore e determinazione riprendendo i fuggitivi di giornata e cavalcando poi (non senza brividi) la sua specialissima in compagnia di uno stoico Silvan Dillier, campione elvetico su strada al rientro alle corse dopo la frattura di un dito alle Strade Bianche in Toscana a inizio marzo.
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Costui, pur nei panni della vittima sacrificale e sebbene fosse in fuga dai primi chilometri, ha ricoperto un ruolo chiave per il successo di Peter, supportandone a sorpresa l’azione fino in fondo con cambi regolari prima di venir inevitabilmente fulminato nello sprint a due che ha consegnato il successo e la gloria allo slovacco, alleggeritosi così delle critiche ricevute negli ultimi mesi, del fastidio per alcuni piazzamenti poco nobili e della pressione data dall’essersi dimostrato alquanto poco concreto finora nelle classiche che contavano (prima di ieri il suo score recitava una sola vittoria in ventidue monumenti disputati).
Tutto ciò si è dissolto spalancando violentemente le braccia sulla linea bianca e urlando selvaggiamente la propria gioia al cielo di Roubaix, che finalmente ha potuto abbracciare nuovamente l’impresa di un campione del mondo trentasette anni dopo la cavalcata di Bernard Hinault. Con tutta la sua classica platealità Sagan si è poi inchinato al trepidante pubblico francese, ha stretto in una morsa felice tutto il proprio entourage e in seguito, pulitosi da quella polvere che segna uno a uno tutti i volti degli eroi che tagliano il traguardo del velodromo, ha finalmente potuto mostrare orgoglioso e con animo leggero il blocco di pavè, iconico premio destinato al vincitore della corsa.
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Sagan perciò ha spezzato con un trionfo “vintage” quel senso di accerchiamento che aveva palesato dopo la Ronde, occasione (non la prima quest’anno) in cui era stato annullato dallo strapotere del collettivo della Quick-Step che, a suo avviso, nessuno aveva mai provato ad intaccare con decisione. Questa volta, per evitare di essere messo in mezzo dall’armata bianco-blu, l’ex Liquigas e Tinkoff ha deciso di osare direttamente in prima persona correndo sul filo sottile che separa la vittoria dalla sconfitta, strategia che complice la minor brillantezza dei rivali nel finale ha pagato dividendi altissimi.
Sostenuto finalmente anche da una buona dose di fortuna (prima Roubaix senza forature ne guai meccanici), Sagan ha dato vita a una lunghissima e appassionante rincorsa stile gatto col topo, con i primi però troppo attendisti e colpevoli di essersi lasciati sfuggire il boccone più grande da sotto gli occhi. I Quick-Step (i veri antagonisti dello slovacco per tutta la campagna del Nord) infatti potevano interpretare e leggere meglio la corsa evitando di lanciarsi a ripetizione in attacchi solitari con poco senso o troppo pretenziosi (vedi Gilbert e Stybar): il risultato è l’essersi trovati per la prima e unica volta in tutta la campagna del nord a inseguire invece che ad essere inseguiti, pagando poi a caro prezzo l’aver sottovalutato, una volta partito Sagan, la portata e la pericolosità della sua azione.
Incamerato infatti subito un discreto margine in termini di secondi e rinfrancato dall’efficienza del proprio passo, Peter ha potuto saltare leggero da una banchina all’altra, dare sfogo alla propria adrenalina evitando all’ultimo buche e sassi, esaltarsi tracciando traiettorie ardite e trovare energie extra da due ali folla in estasi al suo passaggio: assieme a Dillier (ringalluzzito di riflesso dalla situazione di corsa) i due hanno così mangiato sempre più polvere e pietre, passando indenni attraverso i temibili ciottolati di Mons-en-Pévèle e del Carrefour de l’Arbre, fino a distanziare irrimediabilmente gli inseguitori cappeggiati da un Niki Terpstra che, con la conquista della terza piazza, ha certificato il proprio ottimo stato di forma.
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Tutto inutile però per recuperare il direttissimo slovacco-elvetico e soprattutto per mettere il bastone tra le ruote a un affamato Peter Sagan, voglioso più che mai di impreziosire ancora il proprio palmares e spiccare ulteriormente il volo verso la leggenda. Un volo che, disgraziatamente, non potrà più compiere il compianto Michael Goolaerts, vittima delle bizze del suo cuore, un cuore che pulsava per il ciclismo e che porterà l’anima di Michael da lassù a sostenere tutte le imprese e gli idoli del suo sport dal quale è stato fatalmente strappato via in una domenica di aprile.
Federico Guido
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