Derrick Rose è uno dei giocatori più influenti della NBA nell’epoca moderna, ha fatto innamorare tanti giovani del basket made in USA e per certi versi ha contribuito a scrivere importanti pagine di storia della lega cestistica più importante del mondo, peraltro con indosso la maglia dei Chicago Bulls, che dal 1984 al 1998 fu di Michael Jordan, l’ultimo MVP dei tori di Chicago prima dell’avvento del playmaker classe ’88. Ebbene sì, perché tra le imprese compiute fin qui da Rose nella sua carriera rientra anche e soprattutto la vittoria del prestigioso riconoscimento di miglior giocatore della regular season, conquistato nel 2011, a 23 anni non ancora compiuti, il che lo rende il più giovane MVP di sempre.
Sebbene possa apparire piuttosto scontato, una sorta di scorciatoia per intenderci, è opportuno partire proprio da quella stagione, l’annata 2010-2011, apparentemente trampolino di lancio ideale per Rose, che aveva ormai spiccato il volo verso l’Olimpo del basket a stelle e strisce e nessuno sembrava in grado di poterlo fermare. Del resto, nessuno ci riusciva: il talento con la maglia numero uno sulle spalle risultava a dir poco immarcabile per chiunque e la sua esplosività sotto tutti i punti di vista lasciava presagire che quella stagione così magica e speciale fosse soltanto la prima di una lunga serie di annate memorabili.
Se sul parquet non c’erano ostacoli che Rose non potesse abbattere, però, i problemi erano di un’altra natura. Perché il destino sa essere davvero atroce e crudele, la sfortuna non guarda in faccia a nessuno e colpisce senza preavviso, invertendo totalmente scenari e situazioni. Nel 2010-2011 Rose mette a referto 25 punti, 4,1 rimbalzi e 7,7 assist di media, trascinando i Chicago Bulls al primo posto nella Eastern Conference in virtù di uno straordinario record di ben 62 vittorie ed appena 20 sconfitte, per poi confermarsi ad altissimi livelli anche nei playoff, in cui grazie alle sue prestazioni da cineteca i Bulls arrivano fino alle finali di Conference, arrendendosi soltanto al cospetto dei Miami Heat di LeBron James, che ruba la scena al playmaker di Chicago e propizia il 4-1 nella serie per la franchigia della Florida.
Si tratta comunque del miglior risultato centrato dai Bulls dal 1997-1998, anno in cui si aggiudicarono il titolo nell’ultima stagione in quel di Chicago per Michael Jordan, autentico mattatore nelle Finals vinte contro gli Utah Jazz della formidabile coppia formata da John Stockton e Karl Malone per 4-2. Si respira un’atmosfera piacevole nell’Illinois, il pubblico dello United Center si stropiccia gli occhi di fronte alla classe cristallina del ragazzo nato proprio a Chicago nel 1988 e scelto dalla franchigia della sua città con la prima scelta assoluta al Draft del 2008.
La stagione successiva lo vede esprimersi ancora su alti livelli (21, 8 punti, 3,4 rimbalzi e 7,9 assist di media nella regular season), ma il 28 aprile 2012, in occasione di gara-1 dei playoff vinta dai Bulls per 103-91 ai danni dei Philadelphia 76ers, Rose si infortuna al legamento crociato anteriore sinistro ed è costretto ad abbandonare anzitempo i suoi nell’intricato percorso dei playoff, in cui – orfani del loro leader per eccellenza – gli uomini di Tom Thibodeau vengono spazzati via dai Sixers per 4-2 al primo turno. Un’eliminazione piuttosto precoce e, soprattutto, inattesa per i Bulls, che puntavano ad arrivare fino in fondo e invece sono costretti bruscamente alla resa.
Più che il deludente cammino nella post season, a tenere banco in casa Chicago Bulls in vista dell’annata 2012-2013 è il rientro di Derrick Rose, con il pubblico dello United Center che lo aspetta a braccia aperte, galvanizzato dalle rassicurazioni dello stesso giocatore. Il talentuoso playmaker, tuttavia, non disputa nemmeno una delle ottantadue partite di regular season e non riesce a tornare in tempo per i playoff, dove i Bulls vengono sconfitti anche in questo caso per 4-1 dai Miami Heat del Big Three LeBron James, Chris Bosh e Dwyane Wade, futuri vincitori dell’anello. Rose rientra nella stagione 2013-2014, ma è soltanto una piccola luce nell’oscurità: dopo aver disputato appena dieci partite, infatti, l’#1 dei Bulls riporta un grave infortunio al menisco del ginocchio destro, chiudendo in anticipo la sua annata dopo aver appena riassaporato il gusto unico del calcare il parquet.
Inizia così l’inesorabile declino di uno dei giocatori più forti della storia recente del basket statunitense. Nel 2014-2015 Rose torna in campo, seppur con minor continuità rispetto ai tempi d’oro (disputa 51 delle 82 partite della regular season), e nei playoff contribuisce al successo per 4-2 nel primo turno contro i Milwaukee Bucks (23 punti e 7 assist nella vittoria casalinga per 103-91 in gara-1, per poi mettere a referto il buzzer beater del 99-96 in gara-3 allo United Center nelle semifinali di Conference, poi perse per 4-2 al cospetto dei Cleveland Cavaliers di LeBron James. Un nuovo infortunio lo costringe a indossare una maschera protettiva per un mese nelle prime battute della stagione 2015-2016, l’ultima con la maglia dei Chicago Bulls, che mancano l’accesso ai playoff anche e soprattutto a causa del vistoso calo del loro principale punto di riferimento.
Nell’estate 2016 Rose prova a rilanciarsi tuffandosi in una nuova avventura: i Bulls, infatti, lo cedono ai New York Knicks in una trade che prevede il passaggio di Justin Holiday nella Grande Mela, con Jerian Grant, José Calderón e Robin Lopez che compiono il percorso inverso. A New York trova Carmelo Anthony, una delle stelle uscite dal più che talentuoso Draft del 2003, in cui furono scelti anche LeBron James, Chris Bosh e Dwyane Wade: la fame di vittoria di Melo e la voglia di rivalsa di Rose sembrano le chiavi giuste per una squadra che manca l’approdo ai playoff addirittura dal 2013. L’apporto dei due, tuttavia, non basta ai Knicks, che totalizzano appena 31 vittorie e ben 51 sconfitte, non riuscendo a qualificarsi per i playoff.
Scaduto il suo contratto annuale con la franchigia newyorkese, Rose – che ha vinto il titolo di campione del mondo ai Mondiali nel 2010 in Turchia e nel 2014 in Spagna con gli Stati Uniti – sta testando la free agency per la prima volta in carriera, a quasi 29 anni (li compirà il prossimo 4 ottobre). A New York ha fatto registrare le medie migliori dal 2011-2012 ad oggi (18 punti, 3,8 rimbalzi e 4,4 assist), ma non è bastato a guadagnarsi il rinnovo con la squadra guidata da Jeff Hornacek e che ha da poco licenziato il suo ex presidente Phil Jackson. Pur non essendo ancora riuscito a recuperare la forma dei tempi migliori, Rose continua ad essere seguito con particolare interesse da alcune delle franchigie più forti e solide dell’intera lega. In particolar modo, ad aver messo il suo nome sulla lista della spesa sono i Cleveland Cavaliers, i Los Angeles Lakers, i Milwaukee Bucks e – udite, udite – proprio i Chicago Bulls, il club in cui ha vissuto il meglio e il peggio della sua carriera.
Tutte e quattro le piste sopracitate sono molto suggestive, trattandosi di squadre che, per motivi diversi, potrebbero rappresentare una vera svolta per la carriera dell’ex MVP e non soltanto una toccata e fuga, come avvenuto nel breve ed avaro di successi anno trascorso in quel di New York, dove le buone premesse non hanno coinciso con i risultati scadenti. Per ciò che concerne la possibilità di passare ai Cleveland Cavaliers, in un primo momento si era ipotizzato che Rose avrebbe potuto fare da riserva di Kyrie Irving: l’improvvisa volontà di cambiare da parte del numero #2 dei Cavs, però, cambia quasi completamente le cose, con l’ex Bulls che potrebbe sbarcare alla corte di Tyronn Lue per recitare un ruolo di primo piano nell’Ohio al fianco di LeBron James e provare a raggiungere nuovamente le NBA Finals, stavolta per vincerle.
Nel caso di un trasferimento in California, invece, Rose andrebbe a rinforzare un reparto in cui per ora i Lakers possono contare soltanto su Jordan Clarkson e Lonzo Ball, facendo inoltre da chioccia a quest’ultimo, chiamato con la seconda scelta assoluta al recente Draft, e portando ancor più motivazione a una squadra che non ha alcuna intenzione di passare un altro anno ai margini della classifica e punta a tornare grande come circa un lustro fa, al pari dello stesso Rose. A Milwaukee, invece, rappresenterebbe una guida autorevole in un roster molto giovane (l’età media della squadra di Jason Kidd è di circa 24,76 anni) e potrebbe lavorare con grande calma e tranquillità per ritrovare sé stesso.
E poi c’è l’ultima ipotesi, la più affascinante, la più romantica, la più suggestiva: il ritorno a Chicago. Un’operazione che avrebbe del clamoroso, ma che al contempo non appare poi così improbabile: rispetto agli anni dell’ascesa del numero #1, infatti, i Bulls non sono più una contender ma una squadra in ricostruzione, come testimonia la partenza di Jimmy Butler, direzione Minnesota Timberwolves: un contesto che potrebbe permettere a Rose di recuperare la condizione fisica e mentale dei migliori anni della sua carriera senza troppi patemi d’animo, peraltro in un ambiente a lui più che familiare. Insomma, la tanto attesa Decision di Rose avrà un forte impatto mediatico, a prescindere dalla scelta che compierà l’MVP 2011: la speranza degli amanti della NBA è che possa essere la volta buona per la fine del calvario che ha tormentato fin troppo a lungo il buon Derrick da Chicago.
Dennis Izzo
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Coordinatore editoriale di Voci di Città, nasce a Napoli nel 1998. Tra le sue tanti passioni figurano la lettura, i viaggi, la politica e la scrittura, ma soprattutto lo sport: prima il calcio, di cui si innamorò definitivamente in occasione della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006 in Germania, poi il basket NBA, che lo tiene puntualmente sveglio quasi tutte le notti da ottobre a giugno. Grazie a VdC ha la possibilità di far coesistere tutte queste passioni in un’unica attività.
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