Cosa sia la felicità veramente, e letteralmente, nessuno lo sa con certezza. Alcuni, credono che basti avere la salute e una stabilità generale per essere felici; altri, invece, sono convinti che avere tanti soldi sia la soluzione al problema. Ma dove sta la verità? Per avere una risposta esaustiva, si è effettuato, di recente, uno studio – pubblicato, poi, sulla rivista Nature Human Behaviour – di cui, addirittura, i governi di alcune nazioni del mondo – in questo caso, Italia, Stati Uniti, Inghilterra e Germania, nello specifico – si stanno servendo per capire cosa facessero le popolazioni di un tempo per raggiungere la tanto agognata felicità. D’altronde, si dice sempre che “si stava meglio quando si stava peggio”, ma per capire cosa intendessero, con questa frase, coloro i quali l’hanno pronunciata per la prima volta, c’è bisogno di determinati libri di storia, scannerizzati digitalmente e conservati in Google Books, database che consente di misurare la frequenza di qualsivoglia parola nell’arco di, circa, 8 milioni di libri.
Come riporta Focus, parecchi studiosi – appartenenti a diverse università e istituti di ricerca europei –, di concerto, hanno analizzato la cadenza di alcune parole, e l’altrettanta positività, con cui siffatti termini confluiscono in testi prodotti dal 1820 al 2009; oggi, per l’appunto, tutti digitalizzati. I risultati delle ricerche, hanno lasciato dedurre che: un aumento di stipendio, in uno Paese in generale, rende gioiose e spensierate le persone per molto tempo; in caso di guerra, l’effetto appena citato collima anche con la diminuzione degli anni effettivi in cui, possibilmente, potrebbe protrarsi il conflitto. Infine, lo stesso accrescimento riguardante, invero, la longevità, si renderebbe, anch’esso, protagonista di un’intensificazione della felicità popolare. L’Italia, in particolare, ha fatto registrare picchi di questo sentimento in momenti come l’Unità d’Italia e la Belle Epoque (l’inizio del 1900). Il contrario, invece, si è verificato – come facilmente immaginabile – durante periodi come quello delle Guerre Mondiali, il Fascismo, e fasi simili.
Nondimeno, attraverso queste considerazioni, gli studiosi hanno avuto modo di appurare che, ciò il quale sopraggiunge nelle persone, nonostante quanto possa succedere di piacevole o spiacevole, è l’abitudine, che, di conseguenza, si trasforma in felicità. E il tutto, nel senso che, trattandosi, spesso, di oscillazioni temporanee – economicamente, e per tutto il resto, parlando –, la gente vi fa l’abitudine nel vedere la propria vita ciondolarsi fra momenti belli e brutti, e impara a resistere a tutto, anche alle circostanze peggiori che possano capitare. Probabilmente, questo accadeva anche prima, quando le “oscillazioni tra felicità e infelicità erano più sporadiche di adesso” (ndr), ma non essendovi testimonianze al proposito, si arriva a tale conclusione per mezzo della logica. E se ci si riesce ad abituare, persino, ai periodi no della vita, forse, l’essere umano è stato fatto proprio per essere felice (o almeno, provarci – abitudine permettendo).
Anastasia Gambera
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