Tra le innumerevoli cause che portarono alla distruzione dell’Impero romano d’Occidente, in primis si ricordano le invasioni delle popolazioni barbariche provenienti dalle regioni settentrionali dell’Europa e una grave crisi demografica che colpì la vasta popolazione dell’Impero, esistono anche motivi di carattere naturale. Secondo uno studio, condotto da Michael Sigl del Desert Research Institute in Nevada e del Paul Scherrer Institute di Villigen (Svizzera) e pubblicato sulla rivista di divulgazione scientifica Nature, a mettere l’ultima pietra sulla civiltà romana furono anche fattori climatici avversi.
Dall’analisi di alcuni blocchi di ghiaccio estratti da due tra i luoghi più freddi al mondo, ovvero Groenlandia e Antartide, è stato possibile effettuare una ricostruzione sulle condizioni climatiche antecedenti alla caduta dell’Impero. La fascia più alta dell’atmosfera venne ricoperta da particelle di solfato vulcanico, impendendo ai raggi solari di penetrare sul suolo terrestre. Di conseguenza il clima si fece più rigido, la siccità e la difficoltà a reperire cibo portò con se carestia ed epidemie come la cosiddetta peste di Giustiniano che, tra il 541 e il 542 d.C., colpì un terzo della popolazione europea.
Effettivamente questa teoria scientifica trova riscontri storici tra le pagine della letteratura latina dell’epoca. Lo storico e letterato Cassiodoro, che visse durante l’epoca del dominio Ostrogoto su Roma e ricoprì anche alcuni incarichi politici rilevanti, scrisse che vi fu «un inverno senza tempeste, una primavera senza mitezza e un’estate senza caldo».
Gabriele Mirabella
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