In Iran il regime dell’Ayatollah Ali Khamenei continua a portare avanti una scia di oppressione ormai da decenni. L’atmosfera di repressione, quindi, non è una novità in un Paese, spesso, agitato da proteste. Gli eventi degli ultimi anni hanno mobilitato non solo il Paese stesso, ma anche il resto del mondo ad attenzionare il mancato rispetto dei diritti umani in questo Stato. Poco più di un anno fa, infatti, è diventato simbolico l’omicidio di Mahsa Amini, avvenuto il 16 settembre del 2022. Questa prevaricazione religiosa ha dato vita a varie insurrezioni in Iran, proteste che si sono dilagate poi in tutto il mondo.
Proprio nella giornata di ieri è accaduto un episodio che conferma, a distanza di tempo, la situazione oppressiva in cui vive la popolazione iraniana. Un anziano pescivendolo di 70 anni è stato arrestato per aver ballato per strada e aver pubblicato il video sui social. Sadegh Bagheri è stato fermato perché ha osato sfidare la morale civile ed è intervenuta la cosiddetta “polizia morale”. Al governo teocratico di Teheran, a quanto pare, non piacciono le manifestazioni di libertà e gioia.
Questo episodio confermerebbe che, a distanza di ormai oltre un anno dalla “Crisi del velo” con la morte di Mahsa Amini, non è cambiato nulla, nonostante le numerose proteste.
Il caso di Sadegh Bagheri potrebbe essere un altro punto di origine di una scia di proteste. Molti cittadini iraniani hanno mostrato la loro solidarietà verso Sadegh ballando per le strade e pubblicando video apparentemente “innocui” per sfidare la polizia religiosa del regime. È diventato per gli iraniani lo “zio Sadegh”, un involontario eroe antiregime.
Ripercorrendo gli avvenimenti dell’ultimo anno, evento centrale è stata la morte di Mahsa Amini, ventiduenne di origine curda, uccisa a botte dalla polizia religiosa perché indossava male il velo. In seguito a questo episodio sono scoppiate violenti rivolte che provocarono numerosi morti. Da questo evento, scaturirono rivolte popolari senza precedenti contro il sistema della repubblica islamica: le strade da Saqqez a Teheran vennero travolte da un fiume di donne che bruciavano gli jihab in nome della libertà.
Purtroppo, in risposta vi fu una repressione spaventosa: almeno 500 manifestanti vennero uccisi e migliaia furono gli arresti. Dopo questi avvenimenti, che scombussolarono la già precaria stabilità dei cittadini iraniani, la polizia inflisse alla popolazione azioni brutali. Le forze dell’ordine si scagliarono prevalentemente contro coloro che avevano, con coraggio, manifestato il proprio dissenso.
Durante le rivolte, i manifestanti uccisi dalle forze dell’ordine vennero occultati come vittime di incidente stradale o suicidi. Vennero realizzate delle vere e proprie repressioni di piazza, con il fuoco aperto sulla popolazione inerme. I proiettili scagliati contro i cittadini, dove non uccisero, provocarono accecamenti e menomazioni fisiche. L’uso della violenza da parte della polizia morale era apertamente giustificato dal regime, comportamento che continuò a perpetrarsi anche dopo la fine delle rivolte. La polizia compì delle vere e proprie scorribande contro la popolazione, soprattutto femminile, che venne privata dei propri diritti civili e umani. Il sistema di terrore che domina sui cittadini non permette mai che le rivolte si tramutino in rivoluzione.
In Iran vigono delle regole molto ferree sull’uso del jihab che, donne di ogni età, non rispettarono andando incontro a dure punizioni. Ancora oggi per coloro che non rispettano queste “particolari” norme, ci sono delle conseguenze ancora più discriminanti: il sequestro delle automobili, il divieto di accesso al lavoro, all’istruzione, alle cure mediche, ai servizi bancari e ai trasporti pubblici. In relazione allo scorretto o mancato uso dell’indumento la polizia ha portato avanti processi e condannato delle donne al carcere.
Un’altra morte, simile a quella di Mahsa Amini, è avvenuta ad ottobre di quest’anno e riguarda quella della sedicenne Armita Geravand che ha riaperto una ferita tra i cittadini iraniani. La polizia aveva picchiato la ragazza nella metro di Teheran perché non indossava il velo. La studentessa, appena sedicenne, era stata ricoverata presso l’ospedale Fajr l’1 ottobre per un trauma cranico. Dopo un mese in coma, il padre aveva comunicato ai media la morte celebrale della figlia il 23 ottobre.
Il governo di Teheran aveva negato sin da subito le percosse da parte della polizia parlando, invece, di un calo di pressione che avrebbe fatto sbattere la testa alla giovane. Un video ha dimostrato la realtà dei fatti, confermando l’aggressione subita dalla ragazza. A proposito di questa vicenda, inoltre, la polizia ha arrestato in seguito anche la madre poiché le era stato vietato di vedere la figlia in ospedale. L’episodio ha iniziato a fare il giro del mondo in seguito alla diffusione sul web della foto di Armita, intubata su un letto di ospedale in terapia intensiva.
All’inizio del 2023 il regime iraniano ha cercato di far fronte all’ondata di violenza e dissenso esplosa dopo la “Crisi del velo”. Per fare ciò ha cercato di muoversi in bilico tra repressione e “apertura” (solo apparente). In occasione del 44° anniversario della vittoria della rivoluzione islamica dell’11 febbraio del 1979, Ali Khamenei ha annunciato la grazia per i carcerati. La pratica dell’amnistia e dell’indulto è molto ricorrente in Iran, soprattutto in occasioni di festività religiose di rilievo. L’azione ha anche lo scopo di gestire il flusso carcerario che, in conseguenza alle rivolte e ai numerosi arresti per reati politici, era diventato incontrollabile. Del provvedimento della grazia beneficiarono anche le numerose donne arrestate per aver indossato male il velo o non averlo fatto del tutto.
Un evento di pochi giorni fa testimonia come l’Iran abbia gli occhi di tutto il mondo puntati addosso. Nella giornata del 12 dicembre 2023 la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha affermato: “Jina Mahsa Amini ha dato la vita per difendere le donne in Iran e oggi ricordiamo il suo sacrificio. Il Premio Sakharov è un tributo a tutte le donne e uomini coraggiosi che nonostante la repressione continuando a lottare per un cambiamento. Non siete sole, siamo con voi“. La dichiarazione è stata pronunciata in una conferenza stampa a Strasburgo sull’assegnazione del Premio Sacharov alle attiviste iraniane del movimento “Donna Vita Libertà”.
La famiglia Amini era stata invitata all’evento, ma non ha potuto partecipare perché bloccata dalle autorità iraniane che le hanno imposto il divieto di viaggio. La madre Mojgan Amini ha affermato: “Vorrei essere presente nella vostra onorevole Assemblea a rappresentare tutte le donne del mio Paese, per esprimervi la mia gratitudine per il premio Sakharov, per la libertà di pensiero del Parlamento europeo, ma sfortunatamente questa opportunità ci è stata negata, in violazione di tutte le norme giuridiche e morali”.
Altro evento che testimonia la condotta oppressiva del regime iraniano risale al mese scorso e riguarda l’avvocato della famiglia Amini. La polizia iraniana, infatti, ha arrestato lo scorso ottobre, Saleh Nikbakht per “propaganda” contro lo Stato islamico. A fine agosto, infine, ha avuto inizio il processo che ha visto il legale condannato ad un anno di carcere “per aver parlato con i media stranieri e locali del caso Mahsa Amini“.
Fonte Foto in evidenza: Point
Alessia La Porta
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