Chi paga il prezzo di tutto ciò?

L’ambiente

È ormai quasi certo sapere quali potrebbero essere, in un futuro non molto lontano, le conseguenze per il Pianeta. Sono anni che esistono associazioni e addirittura aziende a favore dell’ecosostenibilità, per permettere al Mondo, ma anche a chi lo abita, di vivere più a lungo e nel modo più sano possibile.

Migliaia le polemiche, campagne di sensibilizzazione, scioperi, performance messe in atto da attivisti, in modo che “chi sta più in alto di noi” si renda conto che è necessario cambiare o per lo meno rallentare il modo di agire nei confronti del Pianeta e che il business potrebbe e dovrebbe essere una scelta secondaria rispetto alla vita.

L’industria del fashion è responsabile di circa il dieci per cento delle emissioni globali di gas serra e rappresenta una delle principali cause di inquinamento delle acque in tutto il mondo. Oltre l’ottanta per cento degli impatti ambientali si verificano nei Paesi del Sud del mondo, dove viene prodotta la stragrande maggioranza dei vestiti che finiscono sul mercato globale. E dove, come in un circolo vizioso, vengono spedite grandi quantità di rifiuti tessili, come ha recentemente rivelato un’inchiesta di Greenpeace Germania. Le sostanze chimiche usate non sono riciclabili, non si decompongono una volta immesse in natura o nei corsi d’acqua, ma, anzi, si accumulano e vengono ingerite da organismi, quali i pesci, che la popolazione consuma e che in un futuro non tanto prossimo, potrebbe avere serie ripercussioni dal punto di vista sanitario.

La soluzione di Shein

Colossi della moda come Zara e H&M, in precedenza anch’essi presi in causa per violazione di leggi ambientali e diritti umani, stanno ripulendo le loro filiere, adattandosi e venendo incontro alla campagna Detox di Greenpeace Germania. Tali aziende non saranno mai non inquinanti, ma per lo meno la produzione della loro collezione è inferiore rispetto a quella prodotta da Shein, che propone novità di qualsiasi tipo ogni settimana.

Non risulta che il brand si sia mai espresso esaustivamente al riguardo, né che abbia concretamente adottato delle soluzioni o dei cambiamenti nelle proprie filiere. L’unica “soluzione” a oggi messa in atto sono degli avvisi di richiamo mostrati nella loro stessa app non appena il brand si accorga di aver venduto capi o prodotti particolarmente nocivi per l’uomo. Dopodiché l’azienda invita a distruggerli e smaltirli autonomamente, regalando per questa buona azione e per il “disagio” causato, un buono da dieci euro spendibile sul sito.

Chiara Rizzo