Se c’è una battaglia che sembri non avere ancora un riscontro positivo è sicuramente quella volta alla conquista della libertà di poter praticare l’aborto.
L’aborto (volontario) riguarda l’interruzione della gravidanza tramite intervento chirurgico nel periodo che va da zero ai sei mesi; è sempre stato un tema molto discusso, generando preoccupazione soprattutto dalla Chiesa e dai religiosi in generale.
In Italia il diritto della donna ad abortire è tutelato dalla legge 194 del 1978; prevede l’interruzione della gravidanza, dopo accurate analisi sui motivi che la spingono a questa scelta, entro i primi tre mesi di gestazione. Tuttavia, sembra proprio che la donna non abbia del tutto acquisito tale diritto.
L’articolo 4 recita:
“Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”.
In poche parole ciò significa che a determinare il diritto di una donna di abortire è la motivazione; se non sussiste una ragione grave (e a giudicarlo tale sarà il medico), come ad esempio uno stupro o una malattia che renderebbe la gravidanza fatale, la donna non può abortire. Dunque, una libertà non è sicuramente, e a stento è un diritto; forse si dovrebbe parlare più di una concessione, un favore concesso per un “caso valido”.
Inoltre, va considerato che nel paese vi sono molti contrari, sempre più accaniti verso questo diritto. E proprio in questo contesto che nasce la campagna Libera di Abortire, promossa da Radicali Italiani.
«Siamo davvero libere di decidere per noi stesse quando si tratta di aborto? La risposta è che c’è la legge ma ci sono dei grandi ‘ma’ per colpa del numero altissimo di obiettori, delle violenze fisiche e psicologiche che si subiscono, dell’assenza di informazioni chiare e scientificamente corrette e delle amministrazioni anti-abortiste» – afferma Giulia Crivellini, tesoriera di Radicali Italiani.
Nel settembre del 2021 il Texas ha approvato una norma super restrittiva sull’aborto: l’interruzione di gravidanza è illegale dopo sei settimane dall’inizio della gestazione, anche in caso di stupro o incesto.
A dare prova della durezza della norma è il recente caso di Lizelle Herrera, la ventiseienne incriminata “per aver causato la morte del feto che portava in grembo”, ricorrendo a un aborto clandestino. Chiaramente questo episodio ha scatenato la rabbia di attivisti che difendono il diritto all’aborto, richiedendo il rilascio della ragazza.
«Non conosciamo ancora tutti i dettagli che circondano questo tragico evento; quello che sappiamo è che criminalizzare le scelte delle persone incinte o gli esiti della gravidanza, cosa che lo Stato del Texas ha fatto, toglie l’autonomia delle persone sul proprio corpo e le lascia senza opzioni sicure quando scelgono di non diventare genitori» – afferma Rockie Gonzales, fondatore e presidente del consiglio di amministrazione dell’organizzazione Frontera Fund.
Una buona notizia arriva, invece, dalla Spagna, dove chi molesta o intimidisce le donne che vogliono volontariamente interrompere la gravidanza verrà punito con la reclusione da tre mesi a un anno o sarà sanzionato con la misura alternativa dei lavori di pubblica utilità. Tale pena ricade anche se l’intimidazione viene rivolta agli operatori sanitari che eseguono l’aborto.
Nel 1985 in Spagna le donne potevano abortire solo in caso di stupro, grave rischio per la donna e malformazione del feto; poi nel 2010 l’aborto è stato legalizzato fino alla quattordicesima settimana di gestazione. Tuttavia, la Spagna possiede una forte tradizione cattolica che da sempre ha ostacolato le donne verso questo percorso; è da qui che nasce la necessità di tutelare la decisione di abortire della donna, senza essere ostacolata o senza ricevere influenze esterne.
Che durante le guerre le donne vengano stuprate non è certo una novità, dato che da sempre la violenza sessuale ha accompagnato la violenza bellica. In questo periodo siamo assistendo alla guerra tra Ucraina e Russia, durante la quale sono stati registrati tanti casi di donne ucraine violentate dai soldati russi. Molte di queste sono fuggite dal paese natale per rifugiarsi in Polonia, trovandosi, però, in una situazione difficile, in quanto nel paese l’aborto è consentito soltanto in alcune occasioni, e in ogni caso i medici sono contrari per non rischiare pene.
«I soldati russi stanno usando la violenza sessuale come arma di guerra. Alcune delle vittime vogliono abortire al loro arrivo in Polonia; altre vogliono interrompere la loro gravidanza perché sono finite in una situazione precaria a causa della guerra. Invece dell’aiuto, ora incontrano la resistenza delle autorità polacche» – afferma l’europarlamentare olandese Kim van Sparrentak.
Dunque, aumenta la richiesta di aiuto rivolta all’Europa, in modo tale che altri paesi dell’Unione Europea possano fornire assistenza a queste donne.
Purtroppo ci troviamo in un mondo in cui la donna non ha ancora conquistato pieno diritto, e quando sembra andare avanti di un passo se ne fanno cinque indietro.
Ilenia Mennone
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