CATANIA − In data 18 giugno, Voci di Città si è recata presso la Via Vittorio Emanuele II n. 122, ubicazione della fondazione Puglisi Cosentino per esplorare la mostra Breve storia del resto del mondo di Pietro Ruffo, artista nato a Roma nel 1978, laureato in architettura e vincitore di svariati premi di caratura internazionale. L’esposizione si snoda ai piani alti del bellissimo palazzo in questione, locato nel centro storico della città etnea.
La prima opera con cui si confronta è The Colors of Cultural Map, dove ogni lettera rappresenta un etnia (giapponese, indù, asiatico, musulmano, sudamericano e via dicendo) e ogni numero una peculiarità della zona, alla quale viene associato anche un colore che può indicare: autorità, sfortuna, bambini, salute, fertilità o altro; accanto alla composizione una breve tabella spiega il tutto in maniera molto dettagliata. Quest’opera è stata realizzata, inoltre, su commissione di Luciano Benettoni per il progetto Imago Mundi. Successivamente ci si trova davanti ai quattro atlanti – le cui indicazioni geografiche risalgono al periodo del colonialismo europeo – di Ruffo, qui si nota subito come vi sia più volte in rilievo la figura della libellula, simbolo massimo di libertà per l’artista e più volte ripetuta nelle sue opere: il mondo viene osservato attraverso le ali di questi leggiadri insetti. Terza opera della mostra è Flags of Hamas, in cui la classica scritta «Non avrai altro Dio oltre Allah e Muhammad», invece di essere bianca su sfondo verde, è dorata su sfondo bianco. È proprio questa antifona che ci porta alla raccolta di opere Arab Springs, un inno alle Primavere dei Paesi Arabi. Dopo una prima sala a tema, si giunge a una seconda: l’icosaedro di Ruffo è circondato da altre Primavere (quella indiana, quella africana e quella sudamericana).
La successiva tappa di questo esotico tour artistico è la Liberty House, un omaggio a Khalil Gilbran, poeta, filosofo e pittore libanese, classe 1883. All’interno della struttura casalinga, con il tetto a spiovere, vi sono dei muri i quali hanno in soprarilievo la poesia di Gilbran Sulla Libertà, scritta con lettere verdi sullo sfondo di una foresta. Successivamente si giunge ad una sala bianca in cui sono “imprigionati” i cosiddetti 6 traditori della libertà: Hegel, Fichte, Saint Simon, Rosseau, Helvetius e De Maistre. Ogni volto è pieno delle libellule di Ruffo; il tutto è ispirato all’opera di Isaiah Berlin ‒ filosofo liberale britannico novecentesco ‒ intitolata Due concetti di libertà, in cui l’autore in questione distingue diverse ideologie a riguardo: quella positiva, cioè il fare qualcosa o essere qualcuno, e quella negativa, cioè il non essere impediti nel fare o essere. Per Berlin, i suddetti individui con le loro teorie ed i loro ideali plasmarono un uomo che metteva sullo stesso piano forme di disciplina ‒ anche politica ‒ e libertà tradendo quest’ultima: tali concetti gettarono le basi per le grandi dittature del ‘900, le cui fondamenta ponevano come punto cardine il controllo totale della massa. Insomma, in tal modo l’ideologia positiva – una volta messa da parte la negativa – diveniva estremamente pericolosa. I due momenti pre rivoluzionari del Sud Africa sono l’ottava tappa della mostra. Ruffo, in diverse cornici, incastona due dei momenti più importanti della storia sudafricana: le guerre boere dell’800, fatte dagli olandesi sudafricani che non tollerarono la conquista e la dominazione britannica, e le rivolte anti – apartheid, che sarebbero poi finite nella totale affermazione di Nelson Mandela e nell’abrogazione di tale regime discriminatorio.
Terz’ultima opera di Breve storia del resto del mondo è il Beslan, forse quella più coinvolgente della mostra. Si entra all’interno di quattro pareti fatte di bianchi cilindri in cui sono raffigurati dei bambini. Ogni dettaglio, le case, le strade, è semplicemente tracciato con delle linee nere; solo i protagonisti sono a colori. Beslan è un omaggio all’omonima strage avvenuta tra l’1 settembre e il 3 settembre 2004, quando 32 fondamentalisti islamici e separatisti ceceni occuparono la scuola Numero 1 di Beslan, repubblica autonoma locata nel Caucaso russo. Quando i russi fecero irruzione, fu l’inizio della fine: il massacro vide circa 700 feriti e più di 300 morti, di cui 186 bambini. Superato questo solenne momento storico, si giunge allo Spad SVII, una fedelissima ricostruzione del caccia monoposto biplano di origine francese, impiegato durante la prima guerra mondiale. Questa ‒ ormai anacronistica ‒ morte dal cielo è fatta, comunque, di cartone, legno, plastica, spilli e cartine camouflage: insomma gli stessi oggetti con cui si costruiscono i giocattoli per i più piccoli. Ruffo deride così in maniera sottile uno degli strumenti bellici più in voga nel primo grande conflitto, rievocando tra l’altro la leggiadria del volo e la costante incertezza degli oggetti che si librano in aria.
Dulcis in fundo: le Madri del Mar di Sicilia, una tetralogia di quadretti realizzata da Ruffo appositamente per la mostra in questione a Catania. Su un muro bianco in carta da parati sono raffigurate in blu delle madri con i loro bambini, poi vi sono le quattro cornici a tema. La mamma diviene il deus ex machina di libertà per il figlio, il coraggio femminile e l’istinto di sopravvivenza materna si trasformano così nell’inno di chiusura della mostra di Ruffo. Alla fine dell’esposizione è possibile realizzare la propria libellula cartacea su cui si è liberi di scrivere ciò che si vuole. Si è poi invitati a condividere la propria manifestazione di libertà, espressa tramite il simbolo di Ruffo, sui social network con l’hastag #LiberaLaLibellula.
La nostra redazione, inoltre, ha contattato in esclusiva l’artista Pietro Ruffo per porgli alcune domande in merito.
1. In molte tue opere compare la libellula. Cosa rappresenta di preciso per te questo insetto? Esiste una figura a cui si contrappone?
«Ho iniziato ad utilizzare il simbolo della libellula su alcuni progetti che trattano il tema della libertà. La libellula è un insetto che ha un volo in diverse direzioni come un elicottero, quindi mi dà un’idea di libertà totale, ma è anche un insetto che ha una vita molto breve e quindi dà pure un’immagine di fragilità legata al tema della libertà. Posiziono questo insetto sul volto di alcuni filosofi, in modo regolare una sorta di plotone di libellule, come se una per una fossero libere, ma tutte insieme dirette verso un’unica direzione imposta dall’alto».
2. Capitolo Beslan – Tra quelle “quattro mura” sembra quasi di vivere in un ricordo, come nei film. Perché hai scelto di raffigurare il tutto in questo modo e su quel materiale? Parlaci un po’ del tutto.
«Beslan nasce da un periodo di lavoro in Ossezia del nord con i bambini reduci dal terribile attentato nella scuola Numero 1. Ho deciso di creare una sorta di tempio di carta trasparente, all’interno del tempio le sale della scuola distrutte dopo l’attentato disegnate in nero, mentre a colori i bambini con i quali ho giocato che hanno una nuova energia una nuova vita».
3. Certamente si evince nella tua arte una particolare attenzione per le società che, solo ultimamente, si stanno completamente affacciando sul mondo moderno (Arabia, Sud Africa). Come mai questo interesse per il resto del mondo? Oltre a essere “resto”, è pure futuro?
«Non saprei definire cosa significa mondo moderno, i Paesi del medio oriente e il Sud Africa hanno una storia e una tradizione completamente diversa dalla nostra, cerco di studiare queste diverse zone del mondo, senza proiettare una nostra ambizione di “società moderna” su quelle nazioni, perché ogni zona del mondo deve avere una sua evoluzione, spesso diversa dalla nostra e magari anche migliore, dalla quale possiamo imparare molto, per il nostro futuro».
Francesco Raguni
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