Il Carrie Bradshaw, Samantha Jones, Miranda Hobbes e Charlotte York: questi quattro nomi ricordano qualcosa? Ebbene, per è chi nato/a prima o negli anni ’90, o anche a ridosso del Terzo Millennio, i suddetti nomi rappresentano la serie televisiva cult degli ultimi vent’anni: Sex and the City. Ed è quasi impossibile non averne visto nemmeno una puntata su 94 suddivise in 6 stagioni, ognuna di grande successo – o le due pellicole cinematografiche al cinema, anch’esse campioni d’incassi al botteghino.
La vita di queste quattro donne single, in carriera e alla moda, ha appassionato milioni di donne, e uomini, nel mondo. A dire la verità, ognuna ha sognato, almeno una volta, di vestire i panni anche solo di una di loro. Soprattutto, alcune volte, di avere quegli amanti avuti da tutte e quattro, uomini affascinanti o idealizzati come l’uomo “dei sogni” o cacciati via immediatamente. Come la storia fra Carrie, scrittrice di romanzi, e Mr. Big, alias John James Preston, la quale, tra alti e bassi, tira e molla continui, alla fine li ha condotti sull’altare per coronare quell’immenso amore quasi tormentato.
Per non parlare di Samantha, la cui passione principale era il sesso in tutte le sue sfumature; Miranda, avvocata di successo e fissata con il lavoro, e Charlotte, forse la più conservatrice per quanto riguarda l’amore. Insomma, quattro donne intraprendenti che, attraverso le loro storie e il loro carattere, hanno sdoganato quanto di proibito, vent’anni fa, si diceva essere per il gentil sesso. Non a caso, Sex and the City rientra fra quelle produzioni televisive non fini a sé stesse, bensì ricche, almeno indirettamente, di insegnamenti importanti.
Difatti, molte donne hanno amato Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte non solo per quel tipo di abbigliamento che, oggettivamente, è quasi impossibile da mantenere economicamente parlando, ma per la loro forza e tenacia, nonché dinamicità, nel non aver paura di abordare un uomo, sebbene al tempo il cliché culturale ricorrente fosse quello del “deve fare lui il primo passo”. E non tanto per far decadere la galanteria maschile nel dimenticatoio, ma proprio per dare uno schiaffo morale a tutte quelle stupide convinzioni che descrivevano le donne incapaci di “rimorchiare” – e Samantha è sempre stata maestra nel dimostrare, appunto, il contrario.
Forse, l’unico commento negativo da fare a Sex and the City è che, in un certo senso, ha idealizzato fin troppo il colore delle donne di successo: il bianco. Nessuna donna di colore appare nella serie televisiva, se non sporadicamente e in piccoli stralci; inoltre, come riporta Forbes, si parla anche di stereotipizzazione di quei pochi personaggi LGBT, come il migliore amico maschio di Carrie, Stan. Ovviamente, nell’epoca temporale in cui è stato prodotto Sex and the City erano ricorrenti preconcetti alquanto bizzarri riguardo l’omosessualità – o bisessualità e transessualità – e il colore di una persona, ma non bisogna dimenticare quanto su citato.
Le donne si sono guadagnate, con gli anni, quell’immensa libertà di cui godono oggi, seppur offuscata da casi di violenza e sopraffazione tipici di mentalità troppo chiuse per essere scassinate. Si deve molto, dunque, a quelle quattro donne single; nonostante, secondo alcuni, sia leggermente ridicolo pensare che 94 puntate e due film abbiano avuto questo potere. Indossare un paio di Manolo Blahnik o Jimmy Choo è il sinonimo di una generazione di donne che non sono solo “femmine” da passeggio o casalinghe, ma che riescono a coniugare la vita amorosa con quella lavorativa e ad amare i propri figli, perfino su un tacco 12. E forse, il messaggio nascosto è proprio questo: “Donne, fatevi valere!”
Anastasia Gambera
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