Game Over. Una frase che tutti conosciamo benissimo potrebbe acquisire un significato ben più macabro in seguito all’ultima invenzione di Oculus. Il co-fondatore dell’azienda ha progettato un visore da gaming capace di uccidere chi lo usa in caso di game over.
La macabra invenzione è stata fatta da Palmer Luckey, co-fondatore di Oculus VR, colosso indiscusso del mondo della realtà virtuale. A primo impatto sembrerebbe un visore come tutti gli altri, nello specifico un Meta Quest 2, ma nasconde qualcosa di pauroso. Tre cariche esplosive pronte a scattare in caso di game over, facendo lentamente esplodere il cervello del giocatore.
Luckey ha partorito questa discutibile idea ispirandosi a una serie di romanzi anime a cui è particolarmente legato, Sword Art Online. Nella serie il protagonista è uno scienziato che mette a punto NerveGear, un casco capace di uccidere i giocatori che lo indossano tramite delle microonde, dopo averli intrappolati nel videogioco. Il creatore del visore mortale non è riuscito a ricreare una tale potenza delle microonde, e ha perciò optato per le cariche esplosive.
«La grafica pompata può far sembrare un gioco più reale, ma solo la minaccia di gravi conseguenze può far davvero sentire un gioco reale a voi e a tutte le altre persone che vi partecipano. Si tratta di un’area della meccanica dei videogiochi che non è mai stata esplorata, nonostante la lunga storia degli sport del mondo reale che ruotano attorno a una posta in gioco simile», ha commentato.
L’idea della realtà virtuale non è affatto nuova: accompagna le fantasie dell’uomo già da decine di anni. La letteratura è ricca di narrazioni di macchine tecnologiche capace di riprodurre la realtà, spesso in modo talmente fedele da riuscire a soppiantarla. Questa idea ha trovato un primo concreto compimento nel 1962 con il Sensorama, dispositivo capace di riprodurre film riproducendo vibrazioni, vento e immagini 3D. Pochi anni dopo, nel 1968, arriva il primo vero visore. Ovviamente parliamo ancora di apparecchi “primordiali”, molto pesanti e poco accessibili. Per arrivare ai visori come li conosciamo oggi dobbiamo aspettare il 1993, con i visori portatili Sony, Nintendo e Apple.
Oggi lo scenario dei VR, dominato da Oculus, è nel pieno del suo sviluppo. I visori sono sempre più accessibili, di facile utilizzo e adatti a tutte le esigenze. In commercio vi sono addirittura visori compatibili con gli smartphone, perfetti per chi è alle prime armi e vuole solo divertirsi “immergendosi” nei videogiochi. I più ottimisti prevedono una vera e propria supremazia della realtà virtuale, che in futuro soppianterà le piattaforme digitali. D’altronde è proprio questo il “sogno” del fondatore di Meta, che punta a traslare tutti gli ambiti della nostra quotidianità nel mondo virtuale. Chat, shopping, intrattenimento, riunioni di lavoro… tutto convergerà nel metaverso di Zuckerberg, che per portarsi avanti nel suo progetto ha deciso di inglobare Oculus.
Il progetto di Luckey è sicuramente disturbante, ma c’è da preoccuparsi? Stiamo forse finendo in una realtà distopica in stile Black Mirror dove la tecnologia domina l’uomo, a tal punto da poterne determinare la morte?
La risposta è no. Il “visore assassino”, come ha sottolineato lo stesso creatore, non è altro che un progetto sperimentale che non sarà mai realmente testato. In primis perché, naturalmente, non sarebbe legale e in secondo luogo perché lo stesso Luckey ha ammesso che è molto probabile che si incorra in malfunzionamenti che determinerebbero la morte del giocatore prima ancora del game over.
Allora perché dedicarsi a un progetto che non sarà mai realizzato? Stando alle dichiarazioni di Palmer Luckey, il visore è stato pensato come oggetto d’arte, forse persino come provocazione. È uno strumento volutamente spaventoso, brutale, perché solo così può riuscire nel suo intento di far riflettere. Riflettere su come mondo virtuale e mondo reale siano ormai legati indissolubilmente, a volte a tal punto da non riuscire a distinguerne i confini. Riflettere sul fatto che ciò che facciamo virtualmente ha ripercussioni dirette e spesso irreparabili sul mondo reale. Riflettere su come la tecnologia ha ormai un potere enorme (potenziale o fattuale che sia) e a volte è lecito esserne spaventati.
Alice Maria Reale
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Nata a Catania nel lontano 2002, la piccola Alice si è sempre distinta per la sua risolutezza e determinazione.
Dopo aver deciso di voler diventare un’archeologa, poi una veterinaria e poi un’insegnante, si iscrive al Liceo Linguistico Lombardo Radice e scopre le sue due grandi passioni: la scrittura e le lingue straniere, che decide di coniugare iscrivendosi alla facoltà di Scienze e Lingue per la Comunicazione.