I Muse sono una delle band britanniche e mondiali che hanno segnato questo ventennio. Dagli esordi del 1999 con il primo disco Showbiz ed al successo ottenuto con l’album Absolution, i Muse si sono sempre saputi rinnovare.
La band inglese ha saputo prendere il meglio dai gruppi prog rock anni settanta, tra testi e sonorità, e portarlo ad un livello più radiofonico, più popolare, ma allo stesso tempo anche più potente. Alcuni pezzi, oltre a far parte dell’ordinamento rock, rientrano anche nella categoria alternative metal. Ed è un chiaro esempio di come la loro eterogeneità abbia lasciato il segno nel music business.
I Muse, quindi, tornano sulle scene musicali con Will of the People, uscito venerdì 26 agosto. Il significato è chiaro: volere del popolo. A detta del frontman Matthew Bellamy, gli avvenimenti accaduti negli ultimi due anni dalla pandemia ai fenomeni di razzismo, hanno avuto un grande impatto sulla scrittura dei testi.
La title track (Will of the People) parla proprio di questo: un inno alla ribellione del popolo nei confronti dello Stato.
Il nuovo album va ad esplorare anche altri temi come il lutto, la tirannia, l’amore e addirittura la sopravvivenza. L’ultima traccia, invece, riguarda a ciò che ha dato forma ai testi del disco: pandemia, guerre, incendi, terremoti ed altre calamità naturali.
Un lavoro che quindi esplora le paure del mondo ispirandosi agli ultimi avvenimenti in questi anni.
I Muse, dal punto di vista musicale, non portano tante novità, anzi alcuni brani sembrano di già sentito. I più maliziosi urlerebbero al plagio, mentre i più benpensanti ad aver preso ispirazione. Le intro della canzoni come Will of the People e Won’t Stand Down ricordano rispettivamente The Beautiful People di Marylin Manson e Take on Me degli A-ha.
Liberation, invece, sembra un tributo ai Queen. La canzone, infatti, con un pianoforte in fase attiva, i cori di Wolstenholm e Howard e la voce di Bellamy non possono non ricordare la leggendaria band inglese. Verso la fine, invece, troviamo Euphoria, in questo caso un tributo a loro stessi, ricordando e non poco la loro celebre Time is Running Out.
Oltre ai pezzi citati con le rispettive influenze, l’album è un miscuglio di vari generi. La batteria che va dal ritmo rock al ritmo dance; il basso distorto che fa scuotere i fianchi; il muro di suono con la tastiera riporta agli anni ’80. Ci sono anche momenti intimi come in Ghost (How Can I Move On) e Verona che ci riportano ai giorni nostri.
L’aggressività che sfocia nel metal la troviamo invece nella già citata Won’t Stand Down ed in Kill or be Killed.
In conclusione, il nono album della band non è un brutto disco, anzi è un buon disco, ma sicuramente ci si poteva aspettare di più dopo un’assenza di quattro anni. Magari i fan più attaccati alle radici progressive resteranno delusi mentre altri fan li acclameranno nuovamente, ma i Muse hanno deciso di adottare queste sonorità già da tempo e a quanto pare si divertono nel farlo.
Simmaco Munno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Nato a Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta, quando il grunge esplodeva a livello globale, cioè nel ’91, e cresciuto a pane e pallone, col passare del tempo ha iniziato a sviluppare interessi come la letteratura, la linguistica, la musica, sa mettere le mani almeno su tre strumenti e i videogiochi. Cerca di non porsi limiti e di migliorare sempre.