Secondo Sean Parker, creatore di Napster, Facebook usa le fragilità psicologiche del cervello umano e influenza stranamente la redditività delle persone.
Sean Parker uno dei membri del team che ha dato vita a Facebook, ha occupato la carica di primo presidente quando il social aveva solo cinque mesi. Il Justin Timberlake di The Social Network, come lo ha definito un articolo di Repubblica, ha deciso di andare contro il progetto che ha contribuito a creare, al quale non crede più e addirittura lo teme. Può accadere che gli ex big di qualche grande società, soprattutto di quella tecnologica, ripensino al passato, e forse con più coscenza, accentuino le strade tortuose immesse dall’evoluzione di un prodotto o servizio.
Durante un evento Axios, Parker si è definito «un obiettore di coscienza» dei social media, dicendo che Facebook è nato per farci perdere il più tempo possibile e per attirare il massimo della nostra attenzione. Insomma, il social blu è una sorta di droga che crea dipendenza, distribuendo poco alla volta la dopamina tramite il sistema di like, commenti e condivisioni. Quest’ultimo crea un «loop di convalida sociale volto ad usare le fragilità psicologiche umane» per mantenere gli utenti dipendenti alla piattaforma. Tuttavia, l’inventore di Napster ha spiegato che lui, Zuckerberg e Systrom: «lo sapevamo e l’abbiamo fatto lo stesso». Infatti, non è complicato pensare che il social blu ha già affermato di aver condotto su 700mila persone ignare un test psicologico sugli stati emotivi. Inoltre, ha inventato un modo per scattare privatamente i selfie per influenzare le emozioni degli utenti.
Parker ha avvertito che Facebook influenza la redditività delle persone in maniera strana e modifica le relazioni delle persone con la società. Tali effetti li risentono soprattutto i bambini e adolescenti che fin collegandosi al social blu, devono fare i conti con il calo dei rapporti sociali. Per ora è ancora troppo presto per dirlo in quanto le ricerche sono ancora approssimative sull’analisi cognitiva profonda. Queste ultime parlano di misure d’ansia, di amicizia, di suscettibilità e di solitudine. Effetti che qualsiasi piattaforma social sarebbe in grado di provocare. Insomma, non ci resta che attendere prove decisive che confermano cosa stanno combinando i social network ai nostri cervelli e a quello dei bambini.
Katia Di Luna
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