Le leggende affondano le proprie radici in tempi arcaici e ignoti, si insinuano tra i nodosi rami del rinnovo generazionale, sino a sbocciare nell’immortale frutto della coscienza umana. Questa scardina le barriere del tempo e dello spazio nella formazione di un innato e primordiale patrimonio collettivo, perpetrato da padre in figlio. Fondamentale punto di discrimine tra fiabe e favole è l’impronta moralistica, di cui le prime appaiono manchevoli: cos’è, allora, che ha determinato la loro secolare fortuna? Sussistono, invero, delle sottili incongruenze logiche, le quali si traducono come in squarci attraverso cui poter guardare nel cuore del racconto e avere accesso al suo intrinseco valore simbolico. Da qui il passo è breve per l’acquisizione della consapevolezza di una potenziale contiguità della narrativa a una dimensione inconscia dell’uomo. Miti e apocalissi altro non sono che misteriosi codici interpretabili dal bambino, il quale è in grado di cogliere assenze e paure della narrazione, piccole valvole di sfogo delle tormentate componenti dell’Io. Ogni personaggio coincide con una parte dell’Ego che deve essere riequilibrata: le fiabe sussurrano al pubblico il problema, ma, con il loro velato ottimismo, mostrano anche la via d’uscita da una singolare angoscia. Ecco spiegato il naturale e irrazionale attaccamento e immedesimazione di un individuo in relazione a una novella fantastica.
In Cenerentola, ad esempio, punto focale da cui si irradia la storia è la cenere, emblema per eccellenza della vergogna e dei sensi di colpa. La protagonista – ma anche il lettore – si percepisce come cattiva e disgustosa agli occhi del mondo, mentre i suoi vestiti impresentabili traducono un’insana paura al confronto. Da qui, l’esigenza delle giornate passate a pulire il mondo circostante dalle colpe di cui si è macchiata. La favola, dunque, verte in direzione della questione della dicotomia esclusione/predilezione operata dai genitori e avvalorata dal conflittuale rapporto di non consanguineità dell’eroina con le sorellastre. La principessa, la cui storia parla di un’ingiustizia cronica, incarna l’inesauribile forza combattiva interiore attraverso la quale superare il proprio destino familiare, a fronte di gelosie ed emarginazione. Tutto questo provoca un senso di rabbia nel bambino, il quale necessita di scaricare le proprie pulsioni negative su un personaggio malefico, così da non provare alcun rimorso. Dall’assenza del padre, la quale rimarca lo stato di abbandono e di indegnità a ricevere amore, si approda alla scelta di appoggiarsi solo alla madre. Nella più importante figura femminile della favola, la matrigna, converge l’insanabile binomio di una genitrice buona e austera, amorevole e dispensatrice di punizioni.
Instancabili amici al fianco di Cenerentola sono animali di diverse specie, figura simbolica della sfera istintiva e passionale dell’uomo, con particolare rilevanza dei topi. Questi, nella tradizione millenaria del simbolismo, incarnano il concetto di anima e sessualità, ma anche di trasformazione della debolezza in forza (Esopo, Il leone e il topolino). Gli ostacoli che la matrigna pone alla figliastra al fine di impedirne la partecipazione al ballo, traducono nell’infante l’idea delle imposizioni genitoriali che sembrano insormontabili. Questi possono essere superati con l’intervento della Fata Madrina, detentrice di poteri magici che altro non sono che le prorompenti facoltà interiori dell’individuo. L’agglomerato di energie negative si trasforma in positiva vitalità, attraverso la ben oliata macchina dell’incrollabile fierezza e della speranza nel futuro. Correndo verso il castello, Cenerentola sancisce l’affrancamento da una madre, avida di gelosia per la nascente femminilità della figlia.
Elemento chiave del significato della storia è, inoltre, il piede della protagonista, particolare per le sue modeste dimensioni. Nella cultura cinese esso configura il concetto di regalità e, non a caso, attrattiva sessuale. Quindi la scarpetta è eufemismo di conquista erotica generata dall’esclusività della condizione dell’innamoramento: solo lei sarà in grado di calzarla, proprio perché amore significa completarsi nella propria interezza, senza tagli né rinunce; nella favola originale le sorellastre, infatti, recidono le proprie parti del corpo pur di calzare il delicato oggetto. Quando, infine, combacia la calzatura di cristallo, fragile come l’anima dell’individuo disturbato da paure, l’Io si riconcilia in tutta la sua interezza. A sancire, in definitiva, l’unione inconscia conquista, è il bacio con il principe, unica figura maschile, il quale un po’ bisbiglia al suo pubblico che per ogni turbinio di passioni esiste una vittoria finale.
Claudia Rodano
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