Pochi giorni soltanto sono trascorsi da quando la Corte di Giustizia Europea ha definito il diritto del lavoratore ad almeno quattro settimane di ferie annuali retribuite come «un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione Europea». Tale garanzia spetta a ogni lavoratore «indipendentemente dal suo stato di salute» ed evita, così, che il dipendente «non riesca in alcun modo a beneficiarne, neppure in forma pecuniaria». A tal proposito, sono vietate legislazioni nazionali volte a modificare la normativa comunitaria, se non al fine di derogarvi in melius, a vantaggio, dunque, della parte debole del rapporto stesso. È ciò che accade, ad esempio, nel nostro Paese con la norma del DLG 151/2015, ove è prevista la possibilità di cessione di eventuali ferie e riposi aggiuntivi, rispetto a quelli di legge a favore dei colleghi aventi una seria necessità genitoriale.
Diversa la situazione altrove. La Corte di Lussemburgo si è pronunciata in riferimento al caso di un dipendente pubblico austriaco, la cui richiesta di un’indennità per ferie retribuite non godute era stata respinta dal proprio datore di lavoro. Hans Maschek, infatti, aveva smesso di lavorare per sua personale iniziativa nell’estate del 2012 ed è proprio perché le norme sulla retribuzione dei dipendenti pubblici della città di Vienna non prevedono il diritto di indennizzo nei casi di dimissioni che l’uomo ha, inizialmente, visto respingere la propria domanda, a nulla servendogli sostenere che si fosse ammalato poco prima del pensionamento. A seguito del rifiuto della pubblica amministrazione, il tribunale amministrativo di Vienna ha fatto ricorso alla Corte di giustizia europea al fine di fare chiarezza sulla fattispecie in questione. Quest’ultima, facendo riferimento alla direttiva 88/2003 ha pertanto così sentenziato: «un lavoratore che ponga fine egli stesso al proprio rapporto di lavoro ha diritto a un’indennità finanziaria se non ha potuto usufruire di una parte o della totalità delle ferie annuali retribuite», stabilendo che sia irrilevante il motivo alla base della cessazione del rapporto.
La decisione, è evidente, risulta essere inoltre un’eccezione al divieto di monetizzazione delle ferie stesse. Se infatti, e lo sanno bene gli Italiani, a garanzia della fruizione reale di un diritto la cui importanza è stata conquistata nel tempo, il periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, nel caso deciso a Lussemburgo, una conversione pecuniaria è necessaria poiché consumare le ferie risulterebbe ormai impossibile. Tale causa pare destinata, dunque, a diventare un precedente giurisprudenziale da applicare in casi analoghi all’interno degli Stati membri. Un passo, quindi, compiuto a favore del lavoratore e a tutela della sua condizione. Ne sarà sicuramente felice Maurice Toesca, avendo sostenuto, probabilmente non a torto, che «la civiltà si misurerà dai mesi di vacanze che i lavoratori strapperanno ai padroni».
Concetta Interdonato
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