La pizza per gli Italiani, si sa, è molto più che un semplice amalgama di acqua, farina e pomodoro. Rappresenta, piuttosto, un impasto di orgoglio patriottico, senso di appartenenza e confortevolezza di una tradizione a cui è difficile rinunciare. Molti hanno provato a dar voce al proprio palato: «La vera pizza è alimento, simbolo e rito. Alimento povero e nobile […] La pizza si fa non si cucina. Nasce povera. Si fa con le mani e con la sola abilità delle palme». Inoltre, «fare la pizza è come amare qualcuno. Deve venire facile. Quando si inizia a faticare vuol dire che c’è qualcosa che non va», sostiene lo scrittore Cristiano Cavina.
Affermazioni queste che, però, rischiano di perdere parte della propria genuina veridicità con l’approvazione del disegno di legge 2280 presentato qualche mese fa dai senatori di Forza Italia Bartolomeo Amidei e Paola Pelino. Il ddl ha lo scopo di disciplinare il tanto diffuso mestiere del pizzaiolo, attribuendogli quegli oggi mancanti «titoli giuridicamente efficaci dal punto di vista professionale». A tal proposito è prevista l’istituzione di un Albo nazionale dei pizzaioli professionisti (APP) e la fissazione di una data per celebrare la Giornata nazionale della pizza, volta ad esaltare l’alto valore simbolico dell’insostituibile pietanza.
La legge, che ha già subito circa un decennio di vani tentativi di approvazione, stabilirebbe «per l’esercizio dell’attività professionale» e per poter «utilizzare marchi o insegne in cui ricorrano riferimenti alla professionalità medesima» il necessario conseguimento di un diploma da pizzaiolo e la successiva iscrizione obbligatoria e a pagamento ad un elenco presso le Camere di commercio e al suddetto albo. Il titolo verrebbe rilasciato dopo un corso di almeno 120 ore, di cui 30 di lingua straniera e 20 di scienze dell’alimentazione, e un esame pratico-teorico dinnanzi a una commissione di esperti. Pizzaioli non si nasce, dunque, ma si diventa.
La ratio del provvedimento? Dare concretezza a quella che è attualmente un’attività fantasma. Ogni giorno nel nostro Paese, stima Amidei, vengono sfornate circa 80 pizze da ciascuno dei circa 48mila locali, tra pizzerie e ristoranti-pizzeria (considerando anche quelle d’asporto, al taglio e a domicilio). Numeri che fanno presupporre le presenza di almeno 100mila pizzaioli provetti – e sembrerebbero oggi arrivare a 150mila contando gli aiuto-pizzaioli – capaci di deliziare quotidianamente le pretese di milioni di consumatori esigenti, che vedrebbero, così, lievitare le loro garanzie. «Le pizzerie rappresentano il 50% del fatturato totale della ristorazione».
D’altra parte, ad enfatizzare il bisogno di una nuova disciplina vi è la corsa dei pizzaioli napoletani, appoggiati dal ministro Martina, per l’ottenimento del riconoscimento da parte dell’UNESCO di patrimonio immateriale dell’umanità. La candidatura ufficiale, che tra gli altri sostenitori vede Alfonso Pecoraro Scanio, ha già raccolto in tutto il mondo un milione e 200mila firme. Urge, perciò, sempre più, un riconoscimento giuridicamente efficace. «Se siamo famosi al mondo lo dobbiamo anche alla pizza. Per troppo tempo i pizzaioli sono stati tenuti da parte, come qualcosa di folkloristico, invece di essere davvero valorizzati», aggiunge inoltre la Pelino. Molti, poi, come Carmine Coviello, lo ritengono un disegno favorevole ai pizzaioli italiani per reggere e contrastare la concorrenza di quelli stranieri.
Non mancano, però, gli oppositori: dall’Associazione pizzaioli napoletani (APN), presieduta da Sergio Miccù, a quella dei colleghi siciliani riuniti nell’Unione pizzaioli italiani (UPI). Lo slogan dei tesserati è tanto coinciso quanto esplicativo: «Oggi la pizza è morta». La paura, infatti, è che venga creata una casta e che la disciplina in questione sia a vantaggio più dei formatori che dei formati. Sostanzialmente spetterà, infatti, alle associazioni nazionali di pizzaioli riconosciute dal ministero dello Sviluppo economico lla gestione dei costi legati all’organizzazione dei corsi, degli esami, del rilascio dei diplomi e dell’elenco: tutte attività da rendere obbligatorie secondo il nuovo provvedimento.
«Capiamoci: la legge regala a pochi soggetti il business incredibile della formazione e del riconoscimento. Cioè una straordinaria rendita di posizione», sostiene Miccù, «una politica che fa le leggi col copia-e-incolla e finisce per creare la casta della pizza», con un evidente riferimento ad una proposta di legge del 2007, dei Verdi Lion e Fundarò e dei testi presentati in passato da Giovanni Legnini, a cui il nuovo ddl pare più che ispirarsi.
Concetta Interdonato
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