Da settimane il dibattito sulle unioni civili infiamma le aule parlamentari e l’intera opinione pubblica. Sembra che il disegno di legge sia in dirittura d’arrivo: dopo il mancato voto del “canguro” da parte del M5S, Renzi cerca la maggioranza di governo per approvare la legge, su cui porrà la fiducia. Il DDL Cirinnà, se si può ancora chiamare tale, sarà privato però dell’articolo 5 sulla stepchild adoption. L’avvocatessa Chiara Pantò ha precisato per noi le nozioni principali sugli istituti giuridici in esame.
Spesso si fa confusione sul significato di unioni civili. Qual è la loro definizione?
«Con il termine unione civile si indica l’istituto giuridico, diverso dal matrimonio, comportante il riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico della coppia di fatto (coppie sia di sesso diverso che dello stesso sesso), volto a stabilirne diritti e doveri. Coloro che si uniranno tramite l’unione civile entreranno in una relazione giuridica, la cui disciplina è predeterminata dalla legge, con ampi richiami al regime del matrimonio. Il “DDL Cirinnà” persegue l’obiettivo d’introdurre nel nostro ordinamento l’istituto dell’unione tra persone dello stesso sesso, i cui diritti e doveri sono stabiliti dalla legge, nonché il contratto di convivenza con cui le coppie di fatto possono regolamentare i rapporti patrimoniali e i reciproci diritti e doveri su base privatistica. Nel nostro ordinamento, le coppie di fatto non sono riconosciute in senso stretto. Per esempio, una differenza fondamentale tra matrimonio e coppia di fatto riguarda il diritto di successione: se uno dei due coniugi muore, infatti, l’altro è erede legittimo, mentre tra i conviventi non esiste alcun diritto sull’eredità (a meno che il defunto non abbia disposto dei propri beni con testamento)».
In quali Stati e in che modo le unioni civili sono già state introdotte e disciplinate?
«Nell’Unione Europea il panorama attinente alla legislazione sulle unioni civili è molto variegato. Alcuni Stati – tra cui Belgio, Paesi Bassi e Spagna – oltre ad aver esteso il riconoscimento giuridico alle coppie non coniugate di qualunque sesso, hanno aperto il matrimonio alle coppie dello stesso sesso per realizzare la parità perfetta tra etero e omosessuali. Altre nazioni, invece, hanno scelto di regolarizzare le unioni civili con la coabitazione non registrata, tramite la quale alcuni diritti e doveri sono automaticamente acquisiti dopo uno specifico periodo di coabitazione. A tale proposito il Regno Unito, in un primo momento, con il “Civil Partnership Act 2004”, ha introdotto la facoltà per le coppie conviventi dello stesso sesso di vincolarsi in un’unione registrata detta civil partnership, con conseguenze legali simili a quelle del matrimonio; in un secondo momento, ha aperto il matrimonio alle coppie dello stesso sesso in vasta parte del Paese, riconoscendo anche le coabitazioni non registrate di partner di sesso diverso o dello stesso sesso, a cui è accordata una varietà di diritti e facoltà. Certi Stati, poi, hanno adottato l’unione registrata, chiamata anche partnership o semplicemente coabitazione registrata, che garantisce specifici diritti e doveri anche alle coppie dello stesso sesso, oltre che alle convivenze formate da uomo e donna. In sintesi, diritti e doveri possono essere identici, lievemente diversi o molto diversi da quelli delle coppie normalmente sposate, e la registrazione è a volte aperta anche alle coppie etero non sposate: è il caso della “Geregistreerd Partnerschap”, unione registrata approvata nei Paesi Bassi, e del PACS (“Patto Civile di Solidarietà”) approvato in Francia, come contratto tra due persone maggiorenni dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in comune. In alcuni casi, come in Germania, invece, l’unione civile è ammessa esclusivamente per coppie omosessuali».
Che cos’è la stepchild adoption, oggetto del dibattito non solo parlamentare?
«La “stepchild adoption” (adozione del figliastro), o adozione in casi particolari, è un istituto giuridico che permette l’adozione del figlio del partner (unito civilmente o sposato). È, dunque, il meccanismo che consente a uno dei membri di una coppia di essere riconosciuto come genitore del figlio, biologico o adottivo, del compagno. Possibilità che il “DDL Cirinnà” sulle unioni civili vuole estendere anche alle coppie omosessuali. Per effetto della stepchild adoption, l’adottante assume nei confronti dell’adottato tutti i doveri del genitore e in particolare il dovere di provvedere all’assistenza morale e materiale dell’adottato, al pari del genitore biologico. Il minore, per effetto dell’adozione, diventa erede dell’adottante, verso il quale può vantare il diritto agli alimenti, qualora versi in stato di bisogno. L’istituto persegue il fine di consolidare i legami familiari in una famiglia ricostituita (in conseguenza di divorzi, separazioni, famiglie mononucleari o della morte di un coniuge) e di salvaguardare l’interesse del minore a veder garantita l’instaurazione di un rapporto giuridico analogo a quello genitoriale con un soggetto che non ne è il genitore biologico, ma che vuole assumere nei suoi riguardi un ruolo genitoriale. In Italia l’adozione in casi particolari è disciplinata dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 “Diritto del minore ad una famiglia”, la quale prevede l’adozione del figlio del coniuge, purché vi sia il consenso del genitore biologico e a condizione che l’adozione corrisponda all’interesse del figlio. Sino al 2007, era ammessa solo per le coppie sposate: successivamente, prima il Tribunale per i Minorenni di Milano e poi quello di Firenze hanno esteso questa facoltà anche ai conviventi eterosessuali. In assenza di una disciplina legislativa sui nuclei familiari ricostituiti, i giudici italiani si sono trovati a dover decidere su alcune richieste di adozione in casi particolari, ad esempio quelle avanzate da alcuni genitori sociali nei confronti dei figli del partner dello stesso sesso. Così, nel 2014 il Tribunale per i Minorenni di Roma ha riconosciuto di fatto la prima adozione omosessuale, permettendo a una donna di adottare la figlia naturale della compagna».
L’introduzione delle unioni civili, così come saranno disciplinate dal DDL Cirinnà, renderà allora possibile un’effettiva uguaglianza?
«Il “DDL Cirinnà”, ispirandosi al principio di uguaglianza, disciplina le unioni civili utilizzando la tecnica normativa del richiamo alle norme civilistiche sul matrimonio ed escludendo l’applicazione alle coppie omossessuali della normativa sull’adozione, riservata ai coniugi, a meno che si tratti di stepchild adoption. Sicuramente ciò mira a riprodurre il regime del matrimonio nell’ambito delle unioni civili, volendo assimilare i due istituti alla disciplina giuridica. Il “DDL Cirinnà” affianca all’istituto matrimoniale tradizionale, riservato alle coppie eterosessuali, due nuovi istituti: l’unione civile, riservata agli omosessuali e negata agli eterosessuali, che prevede diritti e garanzie contrattuali molto vicine a quelle proprie del matrimonio, e i “patti di convivenza”, accessibili da parte di tutti, eterosessuali e omosessuali, che prevedono diritti e tutele molto limitate rispetto all’unione civile. C’è da chiedersi se il “DDL Cirinnà”, nell’ottica della pretesa di equiparazione tra le unioni civili e il matrimonio, presenti rischi d’incostituzionalità, atteso che la Corte Costituzionale ha statuito che la regolamentazione delle unioni civili deve essere diversa dal matrimonio (nella sentenza n. 138/2010, infatti, si parla di trattamento omogeneo e non identico). Invece, nella nuova stesura, sono rimasti tutti i riferimenti agli articoli del codice civile che disciplinano il matrimonio».
Che rapporto vi è, pertanto, tra unioni civili e testo costituzionale?
«Quanto al rapporto tra unioni civili e testo costituzionale, giova rilevare che, in difetto di una disciplina legislativa, la coppia di fatto, anche omosessuale, trova un riconoscimento giuridico quale formazione sociale, tutelata dall’articolo 2 della Costituzione italiana, secondo cui la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. La nostra Costituzione adotta una definizione di famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29 della Costituzione): è solo attraverso il matrimonio che l’unione di due persone trova, quindi, un pieno riconoscimento giuridico. Nel dibattito sviluppatosi sulle unioni civili, c’è chi utilizza la lettera dell’art. 29 cost. per contrastare il riconoscimento delle coppie omosessuali e c’è chi, invece, asserisce che la Costituzione non parli di matrimonio eterosessuale, bensì di matrimonio e basta, e che naturale non è sinonimo di eterosessuale, cosicché il fatto che la Costituzione non parli esclusivamente di matrimonio tra uomini o tra donne, “non equivale a dire che lo vieti”. Spetta al legislatore, in conseguenza, decidere. In ogni caso, la Corte Costituzionale, con la sentenza 138/2010, ha sollecitato il legislatore al riconoscimento delle coppie omosessuali, riservandosi la possibilità di intervenire – nell’inerzia del legislatore – per garantire alla coppia omosessuale un “trattamento omogeneo” (e io aggiungo: non identico) rispetto a quello della coppia coniugata».
Che valore giuridico hanno i registri delle unioni civili presso i Comuni?
«I registri delle unioni civili, istituiti dai Comuni, permettono alla coppia, gay o meno, la registrazione anagrafica della convivenza con un mero significato simbolico, a meno che il singolo Comune non decida di riconoscere all’unione civile determinate facoltà o diritti reali (come, ad esempio, l’accesso agli alloggi popolari oppure come nel caso del Comune di Palermo, che permette la parità di accesso delle coppie iscritte al registro ai servizi comunali). Tuttavia, recentemente e relativamente a provvedimenti di sindaci che prescrivono agli ufficiali di Stato Civile di provvedere alla trascrizione di matrimoni celebrati all’estero tra persone dello stesso sesso, il ministero dell’Interno, con una circolare (n. 0010863 del 7 ottobre 2014), ha rivolto ai sindaci invito formale al ritiro e alla cancellazione della trascrizione nei registri dello Stato Civile di tali matrimoni, in virtù del fatto che la disciplina dell’eventuale equiparazione di matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di sesso diverso e la conseguente trascrizione di tali unioni nei registri dello Stato Civile rientrano nella competenza esclusiva del legislatore».
Viviana Giuffrida
L’avvocatessa Chiara Irene Pantò si è laureata alla Facoltà di Giurisprudenza di Catania con votazione 110/110 e lode. Esercita la professione con grande impegno nel settore sociale, essendo legale di Angeli, associazione accredita presso il ministero delle pari Opportunità. Ha firmato la Carta internazionale sulla prevenzione della violenza contro le donne a Zarzis, in Tunisia, e ha anche partecipato alla campagna su I diritti umani negati con la sociologa Giorgia Butera. Come tutte le avvocatesse è veramente difficile, se non impossibile, farla stare zitta!
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