La scorsa domenica, 15 gennaio, si sono tenute ad Ankara le prime votazioni preliminari in merito alla nuova riforma costituzionale promossa dal partito di Erdogan, che ha ottenuto l’approvazione del parlamento turco con tre quinti dei voti a favore. Se durante la seconda votazione, prevista per questa stessa settimana, il parlamento dovesse confermare il testo della riforma, quest’ultima sarebbe in seguito sottoposta a referendum popolare. Ma cosa prevede in particolar modo la riforma costituzionale che tante preoccupazioni sta destando agli occhi degli occidentali?
La Turchia fin dal 1923, anno della sua costituzione, è sempre stata una repubblica parlamentare. Ciò che invece questa riforma si propone di fare adesso è commutarla in una repubblica presidenziale, sulla base del modello statunitense, rendendo la figura del presidente della repubblica, non solo quella di un capo di stato, ma anche di un capo dell’esecutivo. Erdogan e i suoi sostenitori più stretti rivendicano, infatti, l’esigenza per il paese di una leadership forte, che sia garante di stabilità e riduca i rischi, che una fragile coalizione di governo potrebbe comportare. I suoi maggiori detrattori d’altro canto, diffidenti nei confronti della riforma, temono che quest’ultima possa asservire come giustificazione per una svolta autoritaria del paese. Dopo gli scontri dello scorso 15 luglio, a seguito della dura repressione esercitata dal governo nei confronti dei responsabili del tentato colpo di stato, è inevitabile che l’opinione pubblica abbia manifestato questi timori, vedendo esercitare una stretta non indifferente sulle loro libertà.
Non sorprende dunque che il dibattito in aula del 10 gennaio 2017, in cui è stata discussa la bozza della riforma, sia stato fonte di discussioni accese fra i deputati. In particolare i membri dell’Akp, partito di Erdogan, si sono scontrati con i membri della formazione d’opposizione, il Partito Popolare Repubblicano. Il Partito Democratico, notoriamente filo curdo, ha deciso invece di boicottare il voto giudicando illegittimo il testo della riforma e rinunciando volontariamente al proprio diritto di voto in un contesto nel quale alcuni dei suoi deputati sono stati ingiustamente arrestati e privati della possibilità di esercitare le loro funzioni. Alcuni critici sostengono che le modifiche proposte al testo costituzionale possano effettivamente comportare un indebolimento del ruolo giocato dal parlamento, minando all’arguto sistema di pesi e contrappesi che in democrazia garantisce la possibilità che nessuno dei tre poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, prevarichi l’altro. Ad oggi ogni modifica costituzionale dev’essere supportata dal voto di almeno 367 deputati su i 550 totali e attualmente il partito di Erdogan ha garantiti i voti dei suoi 317 deputati e dei 39 nazionalisti dell’Mhp.
Le elezioni dello scorso 7 giugno 2015, in realtà avevano segnato una dura sconfitta per i membri dell’Akp, che pur ottenendo oltre il 40% dei consensi, per la prima volta dal 2002 non erano riusciti ad ottenere abbastanza seggi per costituire la maggioranza del governo. Pochi mesi dopo però la Turchia tornò alle urne con le elezioni anticipate, l’1 novembre Erdogan otteneva il risultato sperato con il 49,3% dei consensi, riprendendo l’effettiva guida del paese. Recep Tayyip Erdogan è alla guida del paese dal 2002: precedentemente sindaco di Instanbul dal 1994 al 1998, è stato primo ministro della Turchia per tre mandati consecutivi fino al 2014, quando è divenuto il primo presidente turco eletto direttamente dai cittadini. Sebbene inizialmente il presidente della Repubblica fosse nominato dal parlamento e il suo ruolo avesse il semplice scopo cerimoniale di rappresentante dell’unità del paese, attualmente esso ha molti più poteri di controllo e supervisione sia dell’esecutivo che del corpo legislativo, pur non detenendo ancora la guida del potere esecutivo.
L’introduzione della nuova costituzione attribuirebbe al presidente la possibilità di nominare e licenziare direttamente i propri ministri, abolendo la figura del primo ministro. Nonostante siano previste le figure di uno o più vicepresidenti, tra i nuovi poteri del capo di stato vi sarebbe anche la possibilità di emettere decreti presidenziali senza il passaggio in parlamento. I vertici dell’esercito, dei servizi segreti, i rettori delle università e i dirigenti della pubblica amministrazione sarebbero nominati dallo stesso. Infine se il popolo turco approvasse la riforma, il presidente Erdogan potrebbe mantenere il suo governo fino al 2029, poiché indipendentemente dalle future elezioni alla fine del suo attuale mandato nel 2019, nelle quali potrebbe essere rieletto per un secondo termine fino al 2024, l’introduzione della riforma azzererebbe ogni calcolo permettendo idealmente due ulteriori mandati consecutivi fino al 2029. Per avviare un processo di impeachment inoltre sarebbero necessarie 301 firme iniziali, con ulteriori 360 voti per costituire la commissione d’inchiesta e il voto di altri 400 deputati per deliberare se proseguire il processo.
Diana Avendaño Grassini
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