Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti: è questo il nome completo del più conosciuto DDL La buona scuola. Il disegno di legge, presentato per la prima volta ufficialmente alla Camera lo scorso 27 marzo, ha avuto il via libera nella giornata di sabato 9 maggio presso la Commisione Cultura della Camera. Il ministro dell’Istruzione Giannini si dichiara soddisfatta del testo, che definisce «arricchito ed integrato». Nel frattempo, in questi giorni, la bacheca Facebook del premier Renzi è stata invasa da messaggi di protesta e indignazione a causa della riforma scolastica: professori, studenti e personale ATA annunciano che non voteranno PD alle prossime elezioni.
Il suddetto DDL (in 8 capi e 24 articoli) prevede, innanzitutto, un piano straordinario di assunzioni per l’anno curriculare 2015-2016, nonché l’eliminazione delle graduatorie ad esaurimento e l’immissione in ruolo di circa 100.000 precari. Restano esclusi dalle assunzioni coloro che hanno vinto il concorso nel 2012, ma che non sono riusciti ad ottenere il posto poiché le cattedre erano tutte già occupate; gli insegnati di scuola materna; i cd. “supplenti lunghi” (cioè coloro che hanno prestato servizio da supplenti per oltre 3 anni) e i precari d’istituto rimasti fuori dalla graduatoria ad esaurimento che sono stati impiegati in tirocini e supplenze.
Altro punto fondamentale è la maggiore autonomia attribuita al singolo istituto e il grande potere di gestione di ogni dirigente scolastico: gli aspiranti insegnanti dovranno accedere tramite concorso agli albi territoriali costituiti dagli Uffici Scolastici Regionali e da lì saranno selezionati direttamente dal preside. Inoltre, ogni istituto dovrà gestire i fondi, la didattica, gli edifici e i progetti formativi con l’onore di programmazione triennale dell’offerta formativa. Dal canto proprio, i docenti avranno a disposizione 500 € annui da spendere per la loro formazione e sono previsti altri 40 milioni per la loro crescita culturale durante il servizio, con priorità come lingue e didattica digitale. E d’ora in poi gli aumenti di stipendio saranno legati, oltre che all’anzianità, anche al merito. Per di più, saranno stanziati 600 milioni di euro al fine di premiare gli insegnanti che si sono distinti in base ad una valutazione del dirigente scolastico, la quale deve essere motivata presso il Consiglio di Istituto.
Ecco alcune delle modifiche che saranno introdotte dalla riforma contro la quale tutti oppongono il proprio dissenso. Gli insegnanti sono scesi in piazza giorno 5 maggio, accompagnati dalle sigle sindacali unite per la prima volta dopo anni, contro un’idea di scuola tutt’altro che buona. Docenti e non, infatti, lamentano l’insufficiente stabilizzazione dei precari (che ammontano oggi a 148mila) e lo strapotere attributo ai dirigenti scolastici, i quali potranno farla da padroni e avere carta bianca su assunzioni, licenziamenti, elogi e scatti di anzianità, esponendosi ad influenze non irrilevanti. Martedì studenti delle scuole superiori e insegnanti hanno in parte boicottato il test Invalsi; il ministro Giannini a proposito afferma «Vorrei denunciare un fatto molto grave, il sabotaggio del test Invalsi. Fortunatamente non è stato un calo così sensibile, siamo arrivati all’80% ma speculare su questo è inaccettabile». Se da una parte si vocifera circa il blocco degli scrutini, dall’altra il Presidente Renzi, che invita al dialogo, commette un clamoroso errore illustrandolo su una lavagna scolastica i punti fondamentali della riforma, confondendo il sostantivo umanista con l’aggettivo umanistica. Gli oppositori alla riforma da nord a sud sembrano uniti: la buona scuola non è quella del governo Renzi, è quella che forma uno spirito critico nei giovani, ché a proiettare un paio di slides e a diventare “i cocchi del preside” sarebbero bravi tutti.
Viviana Giuffrida
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