PORDENONE – Arrestata donna di origini albanesi perché colpevole di aver indossato il niqab, il cosiddetto velo islamico, arresto poi convertito in una multa di 30 mila euro. Così si legge nel decreto penale di condanna che nella data dell’11 novembre il GIP di Pordenone, Alberto Rossi, ha firmato nei confronti della suddetta donna musulmana. Si ripete, così, la storia delle ordinanze sindacali anti-niqab da parte di un comune del Nord Italia, nel caso specifico di Pordenone, il cui sindaco dopo aver più volte richiesto di togliere il velo alla donna presentatasi al Consiglio comunale di San Vito al Tagliamento (Pordenone) con appunto il niqab che le lasciava scoperti soltanto gli occhi, si è visto costretto a far allentare la donna dalla polizia locale per questioni di sicurezza.
A tal proposito, il Gip Rossi si è proprio appellato alla legge 152 del 1975 che regolamenta il comportamento da assumere nei luoghi pubblici e altresì «l’obbligo di riconoscimento del volto che per ragioni di sicurezza non può essere nascosto o travisato». In realtà, la risposta a una vicenda simile si era già data nel 2005 con la sentenza del tribunale di Treviso del 15 agosto dello stesso anno in base alla quale veniva stabilito che qualora il niqab sia «indossato per motivi religiosi non costituisce reato» sebbene si tratti di luoghi pubblici.
Dunque, nonostante esista anche una legge (art.15 della legge n.121 del 1981) che «permette al sindaco di esercitare la funzione di ufficiale di Governo e intervenire per motivi di pubblica sicurezza» è ovvio che nessuna ordinanza può essere emessa in Italia se in disaccordo con la legge nazionale. Ed è questo il caso del niqab, velo legato alla tradizione musulmana assolutamente legale in Italia, paese in cui esiste la libertà di culto.
Ester Sbona
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