Fino a pochi giorni fa, i ricercatori che negli Stati Uniti intendevano condurre un qualsiasi tipo di studio sugli effetti della cannabis o sui suoi benefici terapeutici si trovavano di fronte a una trafila di ostacoli burocratici e amministrativi scoraggianti, tra la richiesta di una serie di autorizzazioni e l’attesa delle relative concessioni. La “proposta di studio” doveva innanzitutto essere inviata alla Food and Drug Administration e al Public Health Service (PHS) per una prima valutazione; quindi si doveva ottenere un permesso speciale dalla DEA, l’agenzia federale antidroga facente capo al Dipartimento di Giustizia; infine era necessario procurarsi la quantità di cannabis necessaria per la ricerca, da poter richiedere solo ed esclusivamente al National Institute on Drug Abuse (NIDA), l’unico istituto autorizzato a coltivare le svariate specie dei semi femminizzati di marijuana destinata alla ricerca scientifica.
Tutto questo, oltre ad essere chiaramente complicato, comportava tempistiche assai lunghe, generando disagio e disappunto tra ricercatori e sostenitori, anche per il fatto che gli studi scientifici su altre droghe – come la cocaina o l’eroina – sono inspiegabilmente meno problematici. Inoltre, la richiesta di autorizzazione da sottoporre a due istituti pressoché complementari, FDA e PHS, era un inutile doppio passaggio che richiedeva mesi di attesa. Dopo l’impegno e la protesta da parte dei ricercatori, quindi, finalmente l’Amministrazione Obama ha approvato una modifica della legge che regola gli iter di ricerca sulla marijuana, eliminando innanzitutto il ruolo del PHS. Sono inoltre stati erogati nuovi finanziamenti per il NIDA, che potrà espandere la produzione di marijuana a 30.000 piante, in modo da poter rispondere più velocemente alle richieste da parte dei centri di ricerca per i vari progetti di studio.
Nonostante siano ormai 23 gli Stati che negli USA hanno legalizzato la cannabis per scopi medici, gli studi scientifici sulla marijuana sono sempre stati assai difficili da portare avanti: tutti questi ostacoli burocratici, inoltre, avevano sempre dato prova di come il governo giudicava questa sostanza non meritevole dei dovuti approfondimenti, sebbene la ricerca scientifica mondiale ne avesse ampiamente dimostrato la validità terapeutica. La semplificazione delle procedure per la ricerca è dunque un importante passo in avanti della Casa Bianca, da sempre dichiaratamente chiusa e conservatrice in materia di cannabis.
Tuttavia, i membri del Marijuana Policy Project non si ritengono ancora pienamente soddisfatti: avrebbero infatti voluto anche l’abolizione del monopolio del NIDA per la coltivazione di cannabis, così da poterla produrre liberamente in altre strutture non controllate dal governo, sempre per fini scientifici. Oltre alla rimozione di questo grande ostacolo, il prossimo provvedimento che i sostenitori ora si attendono è lo spostamento della marijuana dalla Schedule I, in cui essa compare tra le droghe ad alto rischio di abuso e senza alcun valore medico, ad una categoria più appropriata, che dia la giusta considerazione a questa sostanza dalle molteplici proprietà terapeutiche.
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