«Se sei corrotto, ti metto su un elicottero che va a Manila – riporta ANSA – e ti butto di sotto. L’ho già fatto, perché non dovrei farlo di nuovo?». Insomma, il presidente eletto della Repubblica delle Filippine, Rodrigo Duterte, non è certo il nuovo Nelson Mandela. Tali omicidi extra legem, comunque, sono solo la punta dell’iceberg che è il suo sanguinoso operato. Duterte, infatti, è famoso per la sua vera e propria crociata condotta in maniera cruenta e spietata contro una tra le più grandi piaghe che affliggono Manila e dintorni: la droga e i suoi corrieri. Il bilancio ufficiale degli “epurati”, ad oggi, in base ai dati riportati dal Corriere della Sera, ammonta a più di 5900 uccisioni in soli cinque mesi di cui 2000 rispondono al braccio armato della Polizia Locale, 3000 ai vigilantes privati; “Don Rodrigo” perseguita anche i consumatori: «Ci saranno molti morti finché non saranno cacciati tutti gli spacciatori dalle strade». 40000, invece, sono gli arrestati: la gente, infatti, preferisce farsi arrestare piuttosto che rischiare la morte in strada e così le prigioni (costruite per poco meno di 1000 persone) si ritrovano colme di detenuti. Eppure Duterte non demorde nemmeno dopo i moniti di Barack Obama: «Se pensano che la fermerò per paura di Obama si sbagliano, non lo farò», anche perché il piacere di rivestire il ruolo dell’Oscura Signora lo ha sempre avuto, sin da quando era sindaco di Davao: «Andavo in giro per la città a pattugliare le strade in motocicletta, una moto di grossa cilindrata, in cerca di problemi, cercavo un confronto per poter uccidere».
The Punisher, come lo ha chiamato il Time Magazine, ha allestito dei veri e propri squadroni della morte per far in modo che spacciatori, trafficanti e persino consumatori vengano letteralmente sterminati. Solo pochi mesi fa, infatti, egli si è paragonato, in termini di azione, ad Adolf Hitler, führer del Terzo Reich che diede vita al nazismo e al genocidio degli ebrei, nonché alla seconda guerra mondiale. Edgar Matobato (57), uomo fidato di Duterte conosciuto dal 1998 quando faceva parte dei Lambada Boys (squadra costruita da Duterte, allora sindaco di Davao, per l’esecuzione degli omicidi extra giudiziali), ha raccontato in Parlamento (secondo quanto riporta corriere.it) di come si pone fine alla vita dei perseguitati: gettare in pasto ai coccodrilli, sventrare gli uomini, buttarli in mare e molto altro. Un altro sicario, invece, si è espresso sulle neutralizzazioni, affermando che loro sono semplicemente «angeli ai quali Dio ha dato il talento di mandare in cielo le anime dei cattivi e di purificarle». Eppure, in tutto ciò c’è della grande incoerenza: perché, durante le retate, i piccoli pusher, i drogati di strada e simili vengono quasi sempre tassativamente uccisi, mentre i grandi capi del narcotraffico risparmiati, concedendogli quella grazia conosciuta come espatrio?
Azioni di legittima difesa da parte della Polizia, opere di bene, pulizia delle strade: per Duterte il suo operato risponde semplicemente a delle belle parole, il peso dei morti resta solo un numero di cadaveri da quantificare ed eliminare. Secondo quanto riporta Il Post, inoltre, la presidente della Commissione filippina senatoriale sui Diritti umani, che risponde al nome di Leila De Lima, questa estate aveva avviato un’indagine contro tali occasioni stragiudiziali: l’azione, però, è stata subito stroncata dal duro leader del Paese che l’ha immediatamente sollevata dall’incarico e gettata in mezzo a diversi scandali tramite accuse di ogni genere (ad esempio, l’aver intascato grosse tangenti dai leader della droga locali). I raid anti-droga avvengono durante la notte e sono sempre fatti passare come aspri scontri a fuoco, anche se gli agenti non vengono quasi mai feriti e addosso alle vittime non viene trovato arma da fuoco alcuna: i rapporti della Polizia, comunque, descrivono situazioni diametralmente opposte alla realtà e più volte smascherate. A volte i testimoni di tutto ciò scappano per non venire coinvolti, altre, nel fuoco incrociato, finiscono anche innocenti (donne, bambini e passanti di ogni genere): non li «uccise la morte, ma due guardie bigotte» – citando Un blasfemo di Fabrizio De Andrè – gli «cercarono l’anima a forza di botte».
Francesco Raguni
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