Sono trascorse ormai diverse settimane dall’arresto di Gabriele Del Grande, blogger lucchese fermato dalle autorità turche lo scorso 9 aprile perché trovato in una zona “rossa” al confine con la Siria alla quale è vietato l’accesso ai civili. «Sto bene, non mi è stato torto un capello ma non posso telefonare, hanno sequestrato il mio cellulare e le mie cose sebbene non mi venga contestato nessun reato. Da stasera inizio lo sciopero della fame e invito tutti a mobilitarsi per chiedere che vengano rispettati i miei diritti. I miei documenti sono in regola, ma non mi è permesso di nominare un avvocato, né mi è dato sapere quando finirà questo fermo. La ragione del fermo è legata al contenuto del mio lavoro. Ho subito interrogatori al riguardo. Ho potuto telefonare solo dopo giorni di protesta. Non mi è stato detto che le autorità italiane volevano mettersi in contatto con me», è stato questo lo sfogo di Del Grande dal centro di detenzione amministrativa nel quale è attualmente detenuto in Turchia dopo avere avuto finalmente la possibilità di telefonare ai familiari.
Soltanto a distanza di dodici giorni dall’arresto il blogger è riuscito a parlare con un legale di fiducia e con una delegazione consolare, grazie soprattutto alla forte pressione esercitata sul governo turco da parte della Farnesina: «Ci risulta che Gabriele stia bene, sta facendo uno sciopero della fame nutrendosi solo di liquidi. Ha comunque l’assistenza di un medico che io ho richiesto e ottenuto dalle autorità turche», ha così dichiarato il ministro degli Esteri italiano, Angelino Alfano, il quale ha aggiunto: «Prosegue il mio e il nostro lavoro diplomatico, sono in costante contatto con le autorità turche per ottenere il rilascio nei tempi più rapidi possibili».
Intanto il Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, ha lanciato un tweet in nome del rispetto della democrazia e della libertà di stampa chiedendo «il rilascio di Gabriele Del Grande e di tutti i giornalisti detenuti ingiustamente in Turchia. Senza libertà di stampa non c’è vera democrazia».
Ester Sbona
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