Se vi dovessero chiedere qual è l’incubo per eccellenza di ogni italiano che si rispetti, quale risposta dareste? La pizza con l’ananas? La Francia Campione del Mondo di calcio? La Ferrari doppiata dalla Mercedes in F1? Nulla di tutto ciò. Lo spauracchio più temuto d’Italia (o, quantomeno, da parte di una sua certa fascia sociale) è proprio lei: l’imposizione tributaria (o, atecnicamente, tassazione) patrimoniale.
Che si tratti di guerre, crisi economiche o pandemie, storicamente, i Governi del Regno d’Italia (prima) e della Repubblica Italiana (dopo) non hanno lesinato il ricorso a questo strumento nel tentativo di rimpinguare le casse statali dilaniate dalle più svariate ragioni, “colpendo” talvolta gli immobili e, talaltra, strumenti finanziari (tra i vari oggetti dell’imposta).
Ora, al di là dei casi straordinari, di necessità e d’urgenza, il dibattito su un rafforzamento del carico tributario imposto sui più grandi patrimoni che giacciono all’interno del territorio italiano, non si è mai esaurito; anzi, è stato più volte riproposto e se, da un lato, c’è chi, muovendo da esigenze di eguaglianza sostanziale, rivendica aliquote più consistenti a carico dei grandi potentati economici, dall’altro, invece, ci sono proprio costoro i quali, restii a rinunciare ad una parte (sia pur minimale) dei propri privilegi, non sono mai sembrati particolarmente inclini ad accettare le suddette prerogative in linea con uno Stato sociale che si rispetti.
Proprio in questi giorni, peraltro, il mai del tutto sopito anelito di patrimoniale è stato risvegliato dalla proposta del Segretario del PD Enrico Letta il quale, muovendo dai sacrifici che i giovani hanno compiuto nell’ultimo anno e mezzo, ha proposto l’elevazione al 5% dell’aliquota relativa all’imposta di successione che grava sui patrimoni superiori ai 5 milioni di euro, attualmente ferma al 4%
Facciamo, però, un po’ di ordine: oltre agli estemporanei prelievi sui patrimoni degli italiani, fra i quali ricordiamo il prelievo forzoso del 6 per mille dai conti di tutti i cittadini del 1992, ad opera del Governo Amato, esistono in vigore forme di imposizione patrimoniale ordinaria. In particolare, esse sono l’imposta di bollo sui prodotti finanziari e l‘IVIE e l’IVAFE; ora, la prima grava su strumenti finanziari come conti correnti e conti di deposito con un’aliquota dello 0,20% annuo Mentre IVIE e IVAFE vengono applicate ad immobili e strumenti finanziari detenuti all’estero.
Tuttavia, probabilmente, la più nota e comune imposta patrimoniale è l’attuale IMU ovverosia l’Imposta Municipale Unica (che succedette all’ICI, cioè l’Imposta Comunale sugli Immobili) che grava sui beni immobili la quale, però, “intimorisce” il contribuente meno che in passato poiché non è attualmente applicata sulla c.d. prima casa, ovvero un immobile presente nel territorio del Comune di riferimento e che costituisce la dimora abituale del soggetto passivo dell’imposta; fa eccezione, però, l’ipotesi nella quale l’abitazione costituisce bene di lusso e, quindi non rientra fra le categorie di abitazione civile, economica, popolare, utrapopolare, rurale e villini bensì tra le categorie di case signorili, ville o castelli (dalla seconda casa in poi, inoltre, il bene è considerato aprioristicamente bene di lusso). Insomma, quando si parla di imposizione patrimoniale, si ha a riferimento un vasto agglomerato di tributi di natura, scopo e specificità eterogenee che, troppo spesso, viene banalizzato dal dibattito politico e dalla trattazione superficiale dei media.
Ovviamente, la proposta dell’ex Premier ha suscitato opinioni contrastanti; da un lato, essa è stata appoggiata da soggetti come l’ex Ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, e l’attuale Ministro del Lavoro Andrea Orlando i quali hanno, rispettivamente affermato: “La proposta del Pd è dare ai giovani, che non hanno avuto nulla o troppo poco. Presidente Draghi, la tassa di successione c’è nei paesi più avanzati, la propone il Fondo monetario internazionale. Tassare l’1% più ricco, che eredita milioni di euro o li riceve in dono, non è chiedere: è restituire. Con giustizia” e “Io credo che un fisco che sposta il peso dal lavoro e dall’investimento verso la rendita e il patrimonio è più favorevole alle nuove generazioni. Io credo che la proposta del segretario sia un punto di partenza importante.”
Dall’altro, invece, sono emersi pareri che muovono in una direzione diametralmente opposta come quello del capogruppo di Forza Italia alla Camera Roberto Occhiuto il quale ha dichiarato: “Letta si scordi qualsiasi irricevibile aumento di tasse. Vuole mettere le mani nelle tasche degli italiani? Lo dica in campagna elettorale e proponga al Paese un esecutivo di sinistra con al primo punto l’aumento della pressione fiscale. Per quanto ci riguarda è un’idea non percorribile“ e la Capogruppo al Senato del medesimo partito Anna Maria Bernini secondo cui: “Considerare patrimoni da un milione di euro come ricchezze da espropriare riflette una concezione punitiva della proprietà privata che vorrebbe colpire risparmi di una vita lasciati ai figli. La proposta di Letta è irricevibile”.
Non sembra particolarmente favorevole o, quantomeno, non ancora preso dall’idea del Segretario del PD neanche il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi il quale ha affermato: “Non ne abbiamo mai parlato, non l’abbiamo mai guardata ma non è il momento di prendere i soldi ai cittadini ma di darli” cui fa eco il leader della Lega Matteo Salvini: “Anche in questa circostanza c’è piena sintonia con il Premier Draghi, se c’è una cosa di cui l’Italia non ha bisogno sono nuove tasse. Letta e il Pd si rassegnino”.
Sul punto, c’è da tenere in considerazione il fatto che la retorica di chi intende contrastare questa proposta di patrimoniale risulta fallace nella misura in cui lascia credere al quivis de populo che andrà a gravare sui suoi risparmi faticosamente messi di lato quando, in realtà, andrebbe ad incidere solo ed esclusivamente sull’1% degli italiani, ovverosia coloro che sono dotati comunque di un patrimonio così vasto ai quali si andrebbe a richiedere un sacrificio irrisorio per loro ma che, per altri, potrebbe significare tanto.
Curioso, tra l’altro, che le critiche provengano da un’area dell’arco costituzionale che si è sempre detta fortemente patriottica; tuttavia, forse, non sbagliava George Orwell nel dire: “Nessuno è patriottico, quando si tratta di pagare le tasse.” D’altro canto, l’idea di Letta potrebbe essere rivedibile per quel che concerne il discriminante dei 18 anni al fine, magari, di far sì che ne possano beneficiare genericamente giovani e meno giovani, al fine di dare una possente spinta generale al sistema economico che ha così tanto sofferto la non ancora conclusasi pandemia. Se Robin Hood rubava ai ricchi per dare ai poveri, in questo caso (senza che avvenga alcun furto), si chiede solo a chi ha di più un sacrificio economico sopportabile al fin di aiutare chi ha di meno e chi, peggio ancora, non ha nulla, nell’ottica di Stato Sociale quale è l’Italia, in virtù di quell’eguaglianza sostanziale riconosciuta dall’articolo 3 della nostra Carta Costituzionale, ancoraggio normativo ed etico di dignità e pari opportunità per ogni singolo cittadino, dal più al meno agiato.
Christian Ferreri
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