In una sera del 5 gennaio del 1984, un noto giornalista perdeva la vita davanti all’ingresso del Teatro Stabile. Il giornalista era Pippo Fava e, quella sera, non riuscì ad assistere allo spettacolo Pensaci, Giacomino!, dove recitava anche una sua nipote. Un giornalista che inizialmente si occupava di sport e teatro, due sue passioni, fin quando non decise di raccontare anche eventi di cronaca nera. E soprattutto della mafia.
Giuseppe Enzo Domenico Fava, nome completo di “Pippo” Fava, nasce a Acreide nel 1925, in provincia di Siracusa. Si trasferisce a Catania nel 1943 dove si laurea in Giurisprudenza e diviene giornalista nel 1952. Nel frattempo, ebbe anche modo di sposarsi con una donna del suo paese, Angela Corridore. Iniziò subito a collaborare con varie testate giornalistiche come Sport Sud, La Domenica del Corriere, Tuttosport e Tempo Illustrato, ed infine per Espresso Sera.
Durante la sua collaborazione con l’Espresso Sera, Pippo Fava iniziò a scrivere di malavita siciliana. Famose, divennero le sue interviste ai vari boss della mafia come Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Nel frattempo, cominciò anche le sue attività di scrittore, drammaturgo e speaker radiofonico. In seguito, diverrà direttore del Giornale del Sud nel 1980, il cui obiettivo era affidare incarichi a giornalisti giovani e meno esperti come Riccardo Orioles, Michele Gambino e Antonio Roccuzzo, ora capodirettore di LA7. Tra i tanti giovani giornalisti c’erano anche suo figlio Claudio, divenuto politico, sceneggiatore e scrittore.
Il Giornale del Sud divenne in poco tempo un giornale coraggioso. I vari articoli contro la mafia ebbero l’esito sperato, ovvero una forte voce di denuncia nei confronti della malavita locale, ma ne conseguì anche un rapido declino e la forzata chiusura. Il quotidiano seguiva il motto “realizzare giustizia e difendere la libertà“. Slogan che gli stessi giornalisti avrebbero seguito anche dopo la chiusura della redazione.
Ci sono tre momenti cruciali che ne causarono la chiusura. Il primo, fu la visione di Fava contrario alla costruzione di una base missilistica a Comiso, in provincia di Ragusa. Base che, comunque sia, venne costruita. Il secondo, riguardo la presa di posizione favorevole all’arresto di Alfio Ferlito – un boss della mafia catanese. Il terzo momento cruciale per la chiusura delle redazione, invece, attiene alla lunga fila di imprenditori interessati al giornale, i quali volevano zittire lo stesso Fava. In seguito, infatti, si scoprì che alcuni di loro – tra cui Salvatore Lo Turco e Gaetano Graci – erano molto vicino al clan dei Santapaola e al suo boss Nitto Santapaola. Denunce riportate nell’opera di Claudio Fava – figlio di Pippo – “La mafia comanda a Catania“.
Poco dopo, si verificarono i primi atti intimidatori al giornale. La mafia organizzò un attentato esplosivo con una bomba contenente un chilo di tritolo. Fava riuscì a sopravvivere e a denunciare sia l’accaduto sia i movimenti del boss Ferlito, ma la prima pagina subì atti di sequestro e censure dalla stampa. Fava verrà licenziato e i vari redattori occuparono la redazione in segno di protesta. Occupazione, peraltro, durata una settimana. La redazione ebbe pochi atti di solidarietà e chiuse definitivamente due anni dopo, nel 1982. Una chiusura desiderata anche dagli stessi editori.
Dopo la chiusura de il Giornale del Sud, nacque una nuova rivista: “I Siciliani“. Pippo Fava riuscì ad ottenere vari fondi con l’apertura di una cooperativa col solo scopo di fondare un nuovo giornale. “I Siciliani” vide la luce nel 1982, dopo la chiusura del Giornale del Sud, ed era un mensile. In poco tempo, divenne subito uno dei principali canali antimafia della Sicilia. Gli articoli erano per lo più inchieste sulla malavita catanese e siciliana, ma anche sulle piccole organizzazioni criminali e fatti di cronaca.
Uno degli articoli più importanti firmati da Pippo Fava ebbe il titolo de “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa“. L’articolo denunciava atti illeciti di quattro noti imprenditori catanesi o che vivevano a Catania. Tutti collegati con il clan dei Santapaola. Qualche tempo alcuni di loro cercarono di comprare il giornale per ottenerne il controllo, ma ricevettero solo rifiuti. La rivista continuò a fare ciò che riteneva giusto: denunciare, denunciare e denunciare.
Pippo Fava accetta l’intervista con Enzo Biagi nella trasmissione Film Story il 28 dicembre del 1983. Nella sua intervista spiegò la differenza tra il mafioso ed un delinquente comune:
«Mi rendo conto che c’è un’enorme confusione sul problema della mafia. I mafiosi stanno in parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico e importante»
Pochi giorni dopo, il 5 gennaio del 1984, Pippo Fava fu ucciso a colpi di pistola davanti al Teatro Stabile. L’omicidio del giornalista portò a vari indagini fino ad arrivare al 2003 quando furono condannati il boss Nitto Santapaola – mandante – e suo nipote Aldo Ercolano, uno degli esecutori dell’omicidio.
Fava aveva 58 anni quando morì. Si trattava, all’epoca, del secondo giornalista ed intellettuale ucciso dalla mafia. Il primo a morire a causa della mafia fu Peppino Impastato, il cui mandante era il boss Gaetano Badalamenti. Entrambi, però, vivranno per sempre nella memoria e nel cuore delle persone per bene. Come, tra l’altro, dimostrano le iniziative avvenute nella serata di ieri, 5 gennaio, nella città di Catania per celebrare il 40° anniversario della morte di Pippo Fava.
Fonte Foto in Evidenza: Leggo
Simmaco Munno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Nato e cresciuto a Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta, quando il grunge esplodeva a livello globale, cioè nel ’91, e cresciuto a pane e pallone, col passare del tempo ha iniziato a sviluppare interessi come la musica (sa mettere le mani almeno su tre strumenti) la letteratura e la linguistica. Con un nome provinciale e assonante con la parola sindaco, sogna di poter diventare primo cittadino del suo paese per farsi chiamare “Il sindaco Simmaco”.