RIAD – L’Arabia Saudita torna di nuovo a far parlare di sé, infiammando le tensioni in Medio Oriente e alimentando la faida tra sciiti e sunniti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’esecuzione capitale di 47 persone in terra araba (tra essi, anche un noto imam sciita). Pronta, naturalmente, la risposta adirata sia dell’Iran che delle fazioni sciite in Iraq, Libano, Yemen e Bahrein. Come se non bastasse, Riad ha successivamente convocato l’ambasciatore iraniano, descrivendo Teheran come «Stato che sostiene i terroristi»: da lì a poco è stata trovata incendiata l’ambasciata saudita in Iran; nel pomeriggio era stata devastata la delegazione araba di Mashad. Nella capitale, i manifestanti, armati di molotov, sono entranti senza troppi problemi nella sede diplomatica saudita per distruggere e bruciare alcune stanze. A sventare il peggio è stato l’intervento della Polizia, arrestando 40 persone. Solo dopo questi moti, il Ministro degli Esteri iraniano ha dichiarato quanto segue: «Non attaccate l’ambasciata saudita». Secondo l’agenzia semiufficiale Mehr, quanto accaduto in Iran sarebbe scaturito a seguito di una vasta mobilitazione sui social network. Asperrima è, invece, la condanna dell’Ayatollah Ali Khamenei agli arabi: «La vendetta divina li colpirà».
Il Governo saudita, dal canto suo, si giustifica sostenendo che molti dei condannati sarebbero coinvolti in una serie di attentati rivendicati ad al-Qaeda tra il 2003 e il 2006. Tuttavia, alcuni di essi erano oppositori politici del regime a maggioranza sunnita di stampo ultraconservatore: tra loro, spicca il nome dello sceicco Nimr al-Nimr, leader di uno dei movimenti di protesta nati nel 2011 nella provincia orientale del Paese, da dove viene, peraltro, gran parte del petrolio saudita. Nimr era molto popolare tra i giovani: aveva invitato la sua gente (cioè la minoranza principale del paese, considerata da sempre un pericolo vero e proprio, sia perché sciita che perché religiosamente vicina all’Iran, acerrimo rivale dell’Arabia) a cavalcare l’onda delle primavere arabe per ottenere, oltre che più indipendenza dal regime sunnita, anche più diritti. All’interno di questa richiesta aveva specificato di non ricorrere alla violenza. Il suo arresto risale al 2012 dopo uno scontro a fuoco con la Polizia. L’accusa sostenne che Nimr rispose al fuoco dei poliziotti: non furono, tuttavia, mai presentate prove sufficienti, l’unica cosa certa è che lo sceicco venne portato via ferito. Al suo fermo si erano susseguite, nella pubblica piazza, manifestazioni con delle vittime. La sua pena capitale per incitamento alla lotta settaria fu confermata il 25 ottobre scorso. Particolare fu la sua apparizione di fronte ai giudici: Nimr, infatti, mostrava palesi segni di tortura. Tre anni dopo vennero arrestati il fratello Mohammed e, in seguito, il nipote diciassettenne Alì.
La morte dello sceicco in questione potrebbe causare gravi conseguenze sul piano internazionale. Basti pensare che dopo quanto accaduto, l’Iran ha dichiarato – nei confronti dell’Arabia Saudita -: «L’esecuzione di Nimr vi costerà cara». Dure le parole del Ministro degli Esteri iraniano che, poco dopo, ha convocato l’ambasciatore saudita presso Teheran per esprimere una protesta di carattere formale. L’Ayatollah Ahmad Khatami è stato meno formale in termini di condanna: l’ influente componente dell’Assemblea di esperti della repubblica islamica, tra i religiosi più famosi in Iran, ha connotato come “criminale” la famiglia reale saudita, annunciandone l’estinzione: «Non ho dubbi che questo sangue puro macchierà la casa dei Saud e li spazzerà via dalle pagine della Storia». Su Twitter, in memoria dell’imam Nimr, ha invece dichiarato «Il risveglio non è sopprimibile», aggiungendo l’hashtag #NimrMartyre. È immediatamente giunta anche la condanna dei ribelli sciiti Houthi dello Yemen e del Supremo Consiglio islamico sciita del Libano. Hezbollah (partito di Dio del Libano), alleato tra l’altro dell’Iran, ha additato il peso dell’eccidio anche a Nazioni terze al Medio Oriente: «gli Usa e i suoi alleati come responsabili per le esecuzioni avvenute in Arabia Saudita perché coprono i crimini del Regno contro il suo popolo e quelli della regione». «Chiediamo alla comunità internazionale di condannare il crimine commesso dall’Arabia Saudita», ha aggiunto poi in un nota diramata dai media libanesi. I politici dell’Iran, più diplomaticamente, hanno spiegato le conseguenze negative sulle faide settarie nella regione: «L’applicazione della condanna a morte del religioso saudita Nimr Baqir al-Nimr incendierà la regione», ha sostenuto il deputato iracheno sciita Mohammed al-Sayhood. Il parlamentare sciita Kamil al-Zaidi, appartenente al blocco politico dello Stato di Diritto, ha chiesto al Governo di Baghdad di eseguire le pene capitali «contro i terroristi arabi, in particolare sauditi, condannati in Iraq».
Si sono avvicendate diverse manifestazioni di protesta, soprattutto in Bahrein dove le Forze dell’Ordine hanno utilizzato gas lacrimogeni per far disperdere i dimostranti, intenti a loro volta a mostrare ritratti del religioso nel villaggio sciita di Abu-Saiba (a ovest della capitale Manama). Altre proteste si sono venute a creare pure in Arabia Saudita, a Quatif, nella provincia orientale, unico distretto dove gli sciiti sono la maggioranza. A centinaia sono scesi in piazza persino a Srinagar, nel Kashmir indiano. Diversi sono stati anche gli slogan contro la monarchia saudita. Alcuni manifestanti hanno mostrato pure le bandiere di Hezbollah. Il fratello di al-Nimr (21 anni, a oggi nel braccio della morte) ha invitato alla calma. Per salvarlo è partita persino una mobilitazione internazionale: Amnesty International ha chiesto l’annullamento della sentenza di morte. Il padre Mohammed al-Nimr (fratello dello sceicco giustiziato), preoccupato per la sorte dell’altro figlio ancora in vita, ha chiesto una reazione pacifica a un’eventuale ed ennesima esecuzione: «Nessuno deve avere reazioni al di fuori di una cornice pacifica, basta bagni di sangue». Il Gran Mufti dell’Arabia Saudita, Sheikh Abdul-Aziz Alal-Sheikh, parlando di «grazia ai prigionieri», ha difeso la posizione presa dalla corte, la quale ha condannato i 47 detenuti spiegando come la morte «eviterà loro di commettere altro male e di causare caos». Egli ha poi ribadito che le esecuzioni sono state condotte nel rispetto della Sharia, la legge islamica. Tra i condannati a morte figurerebbe anche Fares Al Zharani (inserito nella lista dei 26 super ricercati di al-Qaeda, stilata dalle autorità arabe il 12 settembre 2001).
Durissima è stata la reazione del panorama internazionale: infatti, se il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha condannato su Twitter i suddetti fatti, scrivendo che «L’Italia è contro la pena di morte sempre. In Arabia Saudita l’esecuzione dell’imam al-Nimr rischia anche di alimentare tensioni con comunità sciita», quello tedesco si è dichiarato preoccupato per le conseguenze che ne potrebbero derivare: «L’esecuzione di al-Nimr accresce le nostre preoccupazioni per le tensioni in aumento nella Regione». Un dato realmente preoccupante, invece, lo fornisce l’associazione Nessuno tocchi Caino, la quale conferma come «con almeno 158 esecuzioni nel 2015, l’Arabia Saudita è il primo Paese-Boia del mondo, se si considera il numero degli abitanti». Per loro si tratta di «un fatto senza precedenti nella storia del Regno Saudita, di per sé già mortifero». Prosegue poi l’associazione in questione: «è facile prevedere che la guerra al terrorismo darà un contributo consistente all’escalation della pratica della pena di morte anche nel 2016, soprattutto dopo che l’Arabia Saudita si è posta alla testa della Grande Coalizione anti-Stato Islamico, in nome della quale si sentirà legittimata nel continuare a violare i diritti umani al proprio interno e perseguire e decapitare persone in realtà coinvolte solo nell’opposizione pacifica o in attività sgradite al regime». I dati di Amnesty International, dal canto loro, confermano quanto riportato da Nessuno tocchi Caino: l’Arabia Saudita è annoverabile tra le Nazioni con il numero più elevato di esecuzioni nel mondo, sopra di lei solo la Cina e l’Iran. Dal 1985 ai successivi vent’anni (2005) sono state condannate a morte più di 2200 persone. Nel 2015, invece, da gennaio ad agosto si parla di più di 150 assassini per pena capitale: modus operandi delle esecuzioni la decapitazione. Un invito, rivolto ai leader mediorientali, a smorzare queste tensioni e ad aiutarsi a vicenda lo mandano gli USA: «Riaffermiamo il nostro invito al governo saudita a rispettare e proteggere i diritti umani e a garantire procedimenti giudiziari equi e trasparenti», queste le parole di John Kirby, portavoce del Dipartimento di Stato USA, in un comunicato ufficiale. Per di più, Ban Ki-Moon, segretario dell’ONU, si è detto «profondamente turbato» dalle esecuzioni capitali in Arabia Saudita: «invito tutti i leader della regione a lavorare per evitare che le tensioni settarie vengano esacerbate».
Francesco Raguni
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