Dicembre è, da sempre e per tutti, un mese di bilanci. Lo è soprattutto per il celebre settimanale americano Time, il quale, ogni dicembre, appunto, elegge la «Persona dell’Anno». Stavolta, però, ha voluto dare precedenza a salutare (di già) l’anno appena trascorso, classificandolo come: «The worst year ever», «il peggior anno di sempre». Senza eufemismi, né giri di parole, questo è il titolo della copertina del settimanale USA.
«Ci sono stati anni peggiori nella storia degli Stati Uniti, e certamente anni peggiori nella storia del mondo – esordisce l’articolo –, ma la maggior parte di noi, che siamo vivi oggi, non ha mai visto niente di simile». La questione è, infatti, meramente generazionale: «Dovresti avere più di 100 anni per ricordare la devastazione della prima guerra mondiale e la pandemia di influenza spagnola del 1918; circa 90 per avere un senso della privazione economica causata dalla Grande Depressione; ed essere oltre gli 80 per conservare un ricordo della seconda guerra mondiale e dei suoi orrori».
Il settimanale, afferma quindi che, la generazione che abita il mondo oggi, è stata travolta da un nemico che non poteva combattersi con le armi. O almeno non con quelle di cui era in possesso. Chi lo avrebbe mai detto che «un virus che ha avuto origine, forse, da un solo pipistrello, ha finito per sconvolgere la vita di tutti sul pianeta e uccidere circa 1,5 milioni di persone»?
Ma il Covid è stato davvero l’unico evento ad avere reso il 2020 un anno da dimenticare? L’articolo menziona «il ripetersi di disastri naturali che confermano quanto abbiamo tradito la natura» e «un’elezione contestata sulla base della fantasia» (quella statunitense, ovviamente). Inoltre non mancano riferimenti alla scomparsa di figure quali Kobe Bryant, Chadwick Boseman e George Floyd. E potrebbe aggiungersi anche: Gigi Proietti, Stefano D’orazio, Ezio Bosso, il Maestro Morricone e il tragico incidente di Alex Zanardi.
«Abbiamo imparato molto nel 2020, ma cosa abbiamo imparato esattamente?», si chiede poi l’autrice Stephanie Zacharek, nota critica cinematografica. «Abbiamo rallentato. Abbiamo imparato cosa era importante. Abbiamo giocato a giochi da tavolo e puzzle e abbiamo davvero parlato e ascoltato i nostri bambini». Una generale riscoperta delle piccole cose. Come «le passeggiate al sole quando ci veniva detto che non potevamo uscire se non per fare esercizio», tornare a «incontrare un amico per un bicchiere di vino». Per non parlare della riapertura dei musei, che hanno permesso di «ricongiungerci con i dipinti che amiamo». Inoltre «abbiamo avuto molto tempo per conoscerci meglio». Questo, non è mai tempo perso. Ma,com’è noto, si impara di più nei momenti di frustrazione e sofferenza che in quelli in cui la nostra vita viene scandita a suon di “festini” a casa di amici.
Poi, l’articolo, accarezza i cuori, rassicurando: «Non è questo il momento di essere duri con noi stessi per non sapere esattamente cosa vogliamo, a parte continuare a rimanere sani e vivi e fare ciò che possiamo per assicurarci che lo stesso valga per i nostri vicini e i nostri cari». Arriveranno tempi migliori: «Gli americani sono intrinsecamente ottimisti – conclude Zacharek –. Il nostro ottimismo è il nostro tratto più ridicolo ma anche il più grande. Non può essere sempre mattina in America. A volte dobbiamo superare l’ora più buia. L’aurora attende il suo momento». Dunque, chi vincerà contro questa pandemia del 2020? Chi saprà adattarsi al meglio. E allora, ciascuno per la propria parte, potrebbe essere soddisfatto della sua piccola vittoria.
Maria Giulia Vancheri
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Maria Giulia, che in una parola si definisce logorroica, è una studentessa 24enne di giurisprudenza, a Catania. Dopo anni passati sui libri ha pensato bene di iniziare a scrivere per non infastidire più chi non volesse ascoltare le tante cose che aveva da dire. Riconosce di essere fashion… ma non addicted. Ama il mare e anche durante la sessione estiva non rinuncia alla sua nuotata giornaliera, che le rinfresca il corpo e i pensieri.
Crede fermamente che chi semina amore, raccolga felicità