La storia dell’Arabia Saudita racconta da sempre di un Paese estremamente controverso. Culla della religione islamica, è dal 1932 – anno della proclamazione del Regno di Arabia Saudita – una monarchia assoluta. Lo Stato arabo fonda il suo sistema legislativo sulla Sharia: la legge islamica regolata dal Corano e dallo stile di vita del profeta Maometto.
Data la scelta di seguire la legge Wahhabita – un’interpretazione fondamentalista del Corano – in Arabia Saudita i diritti umani sono generalmente considerati lontani da quelli occidentali. Molte libertà fondamentali, presenti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nel Paese arabo non esistono e la pena di morte è ancora oggi ampiamente utilizzata. Spesso, senza un regolare processo. A tal proposito, una ONG inglese che si occupa di diritti umani, ha aperto un’inchiesta sull’uso della tortura e della pena di morte in Arabia Saudita. I dati ricavati mostrano che, negli ultimi 7 anni, dall’ascesa del potere del principe ereditario Mohammed bin Salman, oggi anche primo ministro, Riad abbia raddoppiato l’utilizzo della pena di morte, arrivando a giustiziare più di 1000 persone dal 2015 al 2022.
Economicamente l’Arabia Saudita affonda le sue radici nel petrolio. Essendo la seconda nazione al mondo per giacimenti di petrolio, il Paese arabo ne è anche il primo esportatore mondiale. Ciò ha posto delle domande sulla strategia di basare la propria economia esclusivamente sul petrolio in un mondo che va, sempre di più, verso l’utilizzo di fonti rinnovabili.
La strategia per il futuro, adottata dal principe Mohammed bin Salman, è stata quella di lanciare un progetto di riforma del paese chiamato “Vision 2030“. Il progetto ha tre obiettivi: quello di creare il più grande fondo di investimenti sovrano al mondo, grazie alla vendita sul mercato del 5% (2 mila miliardi di dollari) di Aramco – agenzia petrolifera del regno Saudita; la riduzione del welfare e un incentivo alla diversificazione delle entrate.
Un’altra strategia adottata dall’Arabia Saudita è stata quella di investire sul mondo del calcio. Dal 2022 infatti, dopo l’acquisto di Cristiano Ronaldo da parte dell’Al Nassr, il campionato arabo, attraverso anche ingaggi faraonici, ha attratto molti altri campioni del calibro di: Benzema, Neymar, Kante, Koulibaly, Mané, Milinkovic-Savic e Brozovic, per citarne alcuni. L’obiettivo del sovrano è quello di portare la Saudi Premier League (campionato dell’Arabia Saudita) tra le prime dieci leghe mondiali nei prossimi 5 o 7 anni.
Inoltre, il regno Saudita ha da poco ottenuto dalla FIFA il permesso di ospitare i Mondiali di Calcio del 2034. Notizia accolta con grande piacere come si legge nel comunicato pubblicato dalla federcalcio del Paese arabo: “Per il 2034 intendiamo offrire un torneo di livello mondiale che trarrà ispirazione dalla trasformazione sociale ed economica in corso in Arabia Saudita e dalla profonda passione del paese per il calcio”.
Il forte interesse e i grandi investimenti nell’ultimo periodo nel mondo del calcio da parte dell’Arabia Saudita, vengono spiegati – al di fuori dello Stato arabo e, principalmente, in Occidente – con la tesi dello sportwashing. Neologismo inglese che spiegato, prende il significato di: utilizzare lo sport per pulire la propria immagine e far distogliere lo sguardo da altre spiacevoli situazioni (come per esempio quella legata ai diritti umani). Così l’Arabia Saudita, grazie alle enormi disponibilità economiche investe oltre che nel calcio, anche nei motorsport come Formula 1, Moto GP e Formula E, generando grandi somme di denaro e “lavando”, appunto, la propria immagine.
L’ultima grande notizia – riguardante il tentativo dell’Arabia Saudita di porsi nella cartina geografica delle “Grandi Potenze” mostrando solamente il lato buono della propria medaglia a due facce – arriva da Parigi. Capitale francese, nella quale 119 delegati su 182 del Bureau International des Expositions hanno votato Riad – capitale saudita – come città che ospiterà Expo 2030.
La candidatura presentata dal principe ereditario è basata sul tema: “L’era del cambiamento, insieme per un futuro lungimirante”. Nella proposta saudita, si legge che l’obiettivo è quello di basare uno sviluppo economico sempre più diversificato e meno dipendente dal petrolio. Manifestazione, dunque, che si sposa in pieno con il progetto Vision 2030 citato prima.
Per l’esposizione della rinomata fiera, era candidata anche Roma, con il tema “Persone e Territori: Rigenerazione, Inclusione, Innovazione”. La capitale italiana, però, si è classificata al terzo posto dietro Riad e Busan (Corea del Sud). “Hanno vinto i petroldollari“, il commento di Roberto Gualtieri, sindaco di Roma. Gli stessi petroldollari, per intenderci, che stanno permettendo all’Arabia Saudita di ripulire la propria immagine e affacciarsi sempre più sul mondo.
Fonte Foto in Evidenza: ISPI
Jacopo Caraffa
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