«Mi vergogno piuttosto di me stesso, perché dopo aver supplicato, urlato nel deserto e scritto innumerevoli appelli oggi mi ritrovo a contemplare la mia impotenza e a inghiottire la mia rabbia fredda, dopo tanti moniti lanciati invano. Mi vergogno, però, anche di voi, di noi tutti, perché oggi, in questo mondo del 2016, ci sono uomini inseguiti e cacciati come prede, degli esseri che devono pagare perché hanno ancora due gambe, due braccia e una testa al posto di un ammasso di carne, di brandelli di corpi e grovigli di budella in cui li si vuole ridurre, e davanti a tutto questo noi non abbiamo trovato niente da fare, né da dire, e nemmeno da ridire»: così il filosofo Bernard-Henry Levy, tradotto da Rita Baldassarre del Corriere della Sera, ha voluto commentare i fatti di Aleppo. Tante bombe cadute in quell’assordante silenzio che viene recepito soltanto da alcuni giornalisti e da qualche vignettista che, a sua volta, ha raffigurato in maniera emblematica l’audience che hanno alcune morti rispetto altre: da un lato vi è una mano che, da Parigi, Bruxelles o Nizza, chiede aiuto e ottiene l’appoggio di altre cento, da un altro, invece, tante mani chiedono aiuto da Aleppo, ma a questa ne risponde solo una.
E così a gridare per Aleppo ci ha pensato Mevlut Melt Altintas, poliziotto di 22 anni, parte integrante delle squadre anti-sommossa di Ankara (Turchia), diplomatosi nel 2014 presso l’accademia di polizia Rustu Unsal di Smirne. «Aleppo», «noi moriamo in Siria, voi qua», «vendetta» queste sono le parole che lo stesso urla mentre spara senza alcuna pietà all’ambasciatore russo Andrey Karlov, in occasione della presentazione di una galleria d’arte nella capitale turca. Certo è che, se l’abbattimento dei caccia russi in territorio turco potrebbe esser stato fatto passare per mera fatalità della sorte, quest’omicidio è inequivocabile: la pace tra Turchia e Russia, a questo punto, rischia di essere sempre più fallace. Eppure Putin sembra essere in disaccordo con chi paragona l’omicidio del diplomatico sovietico all’assassinio di Francesco Ferdinando da parte di Gavrilo Princip nel 1914, atto che peraltro rappresentò la goccia che fece traboccare il vaso, gettando il mondo nella prima guerra mondiale: «Un tentativo di danneggiare i legami tra Mosca ed Ankara e di far fallire i tentativi di raggiungere un’intesa per la pace in Siria», queste sono state le parole dello Zar riportate da lastampa.it. Dalla Russia arriverebbero le prime accuse di terrorismo, mentre secondo la Polizia turca – in base a quanto riporta repubblica.it – sarebbe stato un semplice membro del FETO (Organizzazione del Terrore Gülenista): ancora, però, non vi è alcuna certezza in merito.
Come se non bastasse, qualche ora dopo, un camion, ricalcando il canovaccio della strage di Nizza accaduta questa estate, ha falciato dei civili in pieno centro a Berlino, distruggendo un mercatino natalizio. Il bilancio non definitivo (12 morti e 48 feriti) sembra destinato a crescere; l’unica (magra) consolazione sta nella neutralizzazione dei due attentatori da parte della polizia tedesca (uno è stato ucciso e l’altro arrestato). Dietro la chiesa intitolata al Kaiser Guglielmo, vicino l’Europe Center, si è consumato il tutto. Eppure secondo quanto riporta il The Guardian vi sarebbe il forte sospetto secondo cui il tir nero, mezzo con cui è stato compiuto il massacro della folla, sia stato rubato o comunque dirottato; a sostegno di questa tesi vi sarebbe pure la conferma dell’azienda proprietaria del mezzo di trasporto, ubicata a Danzica, che affermerebbe di aver perso i contatti con il conducente (tra l’altro cugino del titolare dell’azienda di trasporti) intorno alle 16.00 del pomeriggio. E mentre la Merkel si definisce «in lutto» il Sun annuncia la rivendicazione dell’attentato da parte dell’ISIS.
Intanto, oltre l’Eurasia, una volta riconquistata (quasi del tutto) Mosul, infiamma la messa a ferro e fuoco di Aleppo, ultimo grande baluardo del Califfato in Medio Oriente. La Russia e le milizie sciite iraniane, approfittando del momento di stallo della diplomazia degli USA a causa delle recenti elezioni e il conseguente insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, hanno aiutato Assad a riprendere la città siriana: le bombe dell’aviazione sovietica hanno giocato un ruolo fondamentale per la presa della città, tuttavia riducendo i civili davvero allo stremo. Malnutrizione, totale assenza di acqua e condizioni igenico sanitarie pessime sono il pane quotidiano di coloro che fuggono da Aleppo, pian piano fatti evacuare dai loro “liberatori”. Assad, che nella prassi si è confermato lo spietato dittatore che tutti sospettavano, si rivela essere così, non il male minore, bensì il male gestibile.
Ma l’ISIS è davvero stata sconfitta? Le cellule impazzite (es. Berlino) sono nettamente più pericolose di uno stato che, per quanto non fosse stato riconosciuto dall’ONU, era comunque tale. In Europa dilaga la strategia del terrore che, a prescindere dalla matrice islamica o meno, sta facendo fiorire le estreme destre, sopitesi dopo il secondo grande conflitto mondiale. Mentre i nazionalismi insorgono, l’Organizzazione delle Nazioni Unite veste sempre più i panni della Società delle Nazioni, la stessa che aveva soppiantato per inadeguatezza. Solo ieri è stata approvata la risoluzione che autorizzava osservatori della suddetta a recarsi ad Aleppo per verificare le condizioni dei civili. Le grandi domande restano comunque senza risposta: sarebbe stato più giusto lasciare il Medio Oriente a sé stesso? Laddove non vi è diplomazia, si può portare la pace con le bombe?Decontestualizzando la canzone “Povera Patria” di Franco Battiato e immergendola nell’attualità più totale alcuni versi risuonano sentenziosi: «Ma non vi danno un po’ di dispiacere, quei corpi in terra senza più calore?»
Francesco Raguni
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