Ormai, le dinamiche sono note: Claudio Giardiello, ex imprenditore edile di 57 anni ha ucciso tre persone, ferendone altre due. Ed è anche noto il fatto che il pluriomicidio sia avvenuto all’interno di un tribunale, quello di Milano. Ma forse, ciò che dovrebbe fomentare lo sdegno per l’accaduto, è che il nostro Paese non è nuovo a fatti di questo tipo; facendo un salto indietro, si possono ricordare gli avvenimenti di Reggio Emilia e Varese. Chiare e concise le dichiarazioni di Renzi: «Ci dovranno essere tutte le indagini del caso, ma da qui a strumentalizzare gli eventi e inserire per l’ennesima volta l’Expo, ce ne passa. Il Paese non è in uno stato di terrore». Sono da sottolineare anche le dichiarazioni del ministro dell’Interno, Angelino Alfano: «Quello che è successo a Milano è qualcosa di gravissimo e inaccettabile, che non doveva succedere. Il killer voleva uccidere ancora, è stato fermato grazie alla videosorveglianza». Per conoscere meglio le impressioni di chi ha vissuto quelle ore all’interno del Tribunale di Milano, abbiamo avuto il piacere e l’onore d’intervistare l’avvocato Massimo Melica, che lavora all’interno del Palazzo di Giustizia del capoluogo lombardo.
Mi descriva cosa è successo e cos’ha provato durante quegli attimi di follia.
«Per un avvocato è prassi recarsi presso il Tribunale, tanto che alla fine diventa un luogo amico. In particolare, il Palazzo di Giustizia di Milano è una città nella città: l’edificio è stato costruito nel 1940 in stile razionale, ma è talmente immenso che è facile perdersi tra le decine e decine di scale, ascensori, corridoi, uffici e aule di giustizia. Viene frequentato, di continuo, da migliaia di civili. Non so se sia mai stata fatta una stima, ma ritengo che almeno 15.000 persone entrino nello stabile ogni giorno. Tra avvocati e cancellieri spesso si sente dire “hai la faccia da tribunale” perché pur non conoscendosi personalmente, i visi diventano familiari e si collocano nella memoria. Lo scorso giovedì, in una tiepida giornata di sole, sono entrato in Tribunale intorno alle 10:20 come mio solito. Alle 11:00 circa ho sentito il primo sparo. Per fortuna, mi trovavo nell’area opposta al luogo della strage, ma l’eco dei colpi esplosi, amplificati dalle alte volte delle aule, rendeva tutto più vicino. In un primo momento, ho pensato a un attacco terroristico, sicuramente influenzato dalle immagini del museo di Tunisi, ma dopo qualche minuto fuori dal Tribunale, il quadro era già più chiaro e illustrato dal passaparola».
Da un punto di vista umano, come interpreta il gesto di Giardiello?
«Condanno il gesto di quest’uomo senza alcuna possibilità di difesa. Tuttavia, temo che la macchina quale è la giustizia italiana sia lenta, spesso disorganizzata e questo porta all’esasperazione i cittadini. Per ciò che oggi conosciamo dalle indagini, Giardiello ha agito con fredda lucidità sparando al suo ex difensore e cercando deliberatamente il magistrato che riteneva responsabile della sua fine imprenditoriale, perché dichiarato fallito. Ho spesso assistito a scene di disperazione nei tribunali italiani e ho paura che se non cominceremo a offrire una giustizia più efficiente, casi del genere non saranno sporadici».
Conosceva personalmente le vittime? Che pensiero rivolge ai loro familiari?
«Come ho accennato prima, il collega era “una faccia da tribunale”, mentre il magistrato Ciampi lo incontravo di frequente per cause giudicate nella sezione di sua competenza. Oggi resta il vuoto e una inaudita violenza subita in un luogo ritenuto sacro per chi opera nel settore forense».
Cosa ne pensa della sicurezza nei tribunali delle città italiane?
«Per lavoro sono stato in molti tribunali, sia del Nord che del Sud. Il più delle volte i controlli sono severissimi, soprattutto nelle sedi investite da problemi di criminalità organizzata. Può capitare, però, che a causa delle dimensioni e per le competenze del luogo, la sicurezza venga momentaneamente abbassata. In questo momento, per i pericoli del terrorismo e per l’insicurezza sociale, è fortemente auspicabile un maggior controllo dei luoghi dello Stato e questo vale tanto per i tribunali, quanto per le sedi dell’Agenzia delle Entrate».
Legalmente come ritiene si debba procedere adesso?
«La Giustizia farà il suo corso, ci vorrà qualche anno tra indagini e processo, saranno anche analizzate le insane motivazioni del carnefice, ma alla fine sarà inflitta una pesante condanna. Ne sono sicuro».
Dopo l’accaduto, le più alte cariche dello Stato hanno tranquillizzato la popolazione. Quali misure dovrebbe adottare il Governo?
«Abbiamo bisogno di molta attenzione. In questo momento viviamo nell’ottimismo della comunicazione e nel pessimismo della realtà. Occorre ritrovare la forza di risollevarsi con più onestà, più democrazia e più coraggio».
L’ultima domanda: dopo la strage, ha rimesso piede in Tribunale?
«Sì, sono tornato proprio lunedì e per i primi minuti mi è sembrato che l’eco degli spari stesse ancora risonando tra le mura, poi tutto è fortunatamente passato. La vita procede sempre in avanti».
Claudio Francesco Nicolosi
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