La storiografia ufficiale ha ignorato, per anni, un delitto contro l’umanità che solo recentemente è venuto a galla: la storia delle Comfort Women durante la seconda guerra mondiale. Considerate, appunto, donne di conforto, queste giovani provenienti dai Paesi asiatici – Cina, Giappone, Filippine, Corea, Thailandia e Vietnam – subirono abusi sessuali da parte dei soldati nipponici, che così facendo scaricavano le proprie frustrazioni derivanti dai traumi della guerra. Giovani di età compresa spesso tra i 12 e 14 anni furono attirate con false promesse di lavoro e costrette a prostituirsi nelle comfort station: si stima che furono circa 200 mila le schiave costrette a prostituirsi tra il 1932 e il 1945. Dopo la guerra, fu inizialmente difficile stabilire la veridicità dei fatti, in quanto molte donne erano morte o morirono dopo poco, e quelle sopravvissute preferirono mantenere il silenzio. Man mano, però, si presentarono le prime testimonianze da parte di coloro che erano sopravvissute ai soprusi e che ebbero il coraggio di raccontare quanto avevano subìto.
È da ricordare, per esempio, la storia di Kim Bok-dong, 89enne coreana deportata all’età di 14 anni, che ha deciso di portare nuova luce sui fatti in un’intervista alla CNN. «Il sabato cominciavano a mettersi in fila a mezzogiorno. E si andava avanti fino alle 8 di sera. C’era sempre una lunga fila di soldati. Non ci sono parole per descrivere il mio dolore. Ancora oggi. Non riesco a vivere senza prendere medicine. La mia sofferenza è continua», racconta Kim. Fino a pochi mesi fa, il governo giapponese manteneva un atteggiamento particolare riguardo alla faccenda, sostenendo inoltre che non vi fossero prove sufficienti circa il fatto che il governo avesse tenuto realmente tali schiave sessuali. Adesso, a pochi giorni dalla fine dell’anno, Corea del Sud e Giappone hanno invece raggiunto un accordo sulla questione: Fumio Kishida, ministro degli Esteri giapponese, ha annunciato che il primo ministro Shinzō Abe presenterà le proprie scuse ufficiali alla Corea del Sud insieme a un fondo di un miliardo di yen, finanziato da Tokyo, il quale sarà devoluto a tutte le anziane ex vittime di questi abusi. «Abe, come primo ministro del Giappone, offre le sue scuse dal suo cuore e una riflessione per tutte coloro che hanno sofferto molto dolore e hanno cicatrici che sono difficili da rimarginare sia fisicamente, sia mentalmente» ha dichiarato la Kishida. Così, entrambi i Paesi hanno deciso di considerare la vicenda risolta in modo definitivo e di non criticarsi più a vicenda sulla questione.
Le polemiche, però, non tardano ad arrivare: il Korean Council for the Women Drafted for Military Sexual Slavery spiega che «nonostante il governo giapponese abbia dichiarato di sentire le sue responsabilità, non si ammette comunque che il governo coloniale e i suoi militari hanno commesso un crimine sistematico. Il governo non è solo stato implicato in queste attività, ha avuto la colpa di aver preso parte attiva nella loro realizzazione». Una prima e sofferta vittoria a metà, questa per le Comfort Women, che dopo più di 70 anni ricevono le scuse meritate senza tuttavia poter tornare davvero a vivere un’esistenza degna di questo nome.
Martina Lo Giudice
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