Il ritorno dei quarti di finale di Champions League rappresenta senza ombra di dubbio una sorta di riscatto per il calcio italiano, che ha dimostrato, nonostante i tanti problemi e dubbi che aleggiano su di esso da ormai tanto, troppo tempo, di avere ancora molto da offrire sul panorama calcistico continentale e non solo. Dopo che l’andata dei quarti sembrava aver spazzato via le (poche) certezze rimaste entro i nostri confini, con le sonore sconfitte di Roma e Juventus contro le regine di Spagna, Barcellona da una parte e Real Madrid dall’altra, due top club di valore assoluto che si sono spartite le ultime quattro edizioni della Coppa dalle grandi orecchie (tre successi per i blancos, uno per i catalani). Una delle due squadre, inoltre, ha vinto il trofeo in ben sei occasioni negli ultimi nove anni, imponendo in maniera netta la propria egemonia calcistica sul vecchio Continente.
Oltre a ciò, le due superpotenze iberiche hanno dominato la Liga negli ultimi tredici anni, con una delle due che si è sempre piazzata in vetta alla classifica, eccezion fatta per l’annata 2013-2014, in cui l’Atlético Madrid riuscì nell’impresa di porre fine a un dominio durato nove stagioni consecutive e ripreso immediatamente a partire dalla successiva edizione del campionato spagnolo. Dal 2005 ad oggi, il Barcellona ha messo in bacheca ben otto campionati, il Real Madrid la metà. Alla luce di tutto ciò, non era fatto semplice per Roma e Juventus ribaltare la situazione nelle rispettive gare di ritorno, dopo aver incassato batoste abbastanza eloquenti nella gara d’andata, con i giallorossi caduti al Camp Nou per 4-1 e i bianconeri asfaltati tra le mura amiche per 3-0.
La squadra di Di Francesco, in particolar modo, si era sentita ferita nell’orgoglio dopo il brusco quanto netto ko riportato in quel di Barcellona, in quanto consapevole del fatto che il risultato maturato al Camp Nou fosse tutto tranne che veritiero. La Roma, volata in Spagna, secondo molti, a recitare il ruolo dell’agnello al cospetto di un branco di lupi affamati, non ha affatto sfigurato nello stadio in cui il Barça è reduce da ben 25 risultati utili consecutivi in Champions League (23 vittorie e appena 2 pareggi) e non perde addirittura dal 1 maggio 2013, quando cadde per 3-0 nella semifinale di ritorno al cospetto dei futuri campioni d’Europa del Bayern Monaco. Gli uomini di Di Francesco hanno tenuto testa finché hanno potuto a quelli di Valverde, hanno provato invano ad opporsi ad un destino che sentivano di non meritare, ma si sono dovuti arrendere di fronte all’amara realtà dei fatti, condannati dalle rocambolesche autoreti di De Rossi e Manolas, da due rigori non assegnati loro dal direttore di gara e dai due gol di Piqué e Suárez che hanno contribuito ad arrotondare il risultato, arrivati entrambi in seguito a fortunose deviazioni.
Alla luce di quanto avvenuto al Camp Nou, per la Roma sembravano non esserci più possibilità di qualificazione. Certo, all’andata i giallorossi avevano offerto una prestazione tutto sommato positiva, avevano mostrato di avere gli attributi necessari per tenere testa a una corazzata del calibro del Barça, ma la differenza con quest’ultimo si era fatta sentire e il calore dell’Olimpico, alla vigilia, rappresentava l’unica arma in più a disposizione della formazione capitolina. In seguito ad un ottimo approccio alla gara verosimilmente più importante e fondamentale della stagione, con una partenza a dir poco ottima, coronata dal gol del vantaggio siglato da Džeko, la Roma torna a sperare in un’impresa che assumerebbe tratti epico-cavallereschi più che calcistici.
Il Barcellona è stretto nella morsa non di una squadra, bensì di undici gladiatori che non intendono mollare e che si gettano su ogni pallone col coltello tra i denti e con la consapevolezza di chi sa che non ci saranno altre possibilità per riscrivere la storia: dentro o fuori. I giallorossi ne prendono atto e fanno esattamente quel di cui necessitano per riaprire la contesa, trovando anche il raddoppio nella prima parte del secondo tempo, grazie ad un calcio di rigore trasformato in maniera impeccabile da capitan De Rossi. A completare l’opera ci pensa poi Manolas, che nel finale svetta su tutti in area di rigore sugli sviluppi di un calcio d’angolo dalla destra e mette la firma sul terzo gol dei suoi. Ironia della sorte, proprio i due che con le loro autoreti avevano involontariamente compromesso la situazione all’andata, De Rossi e Manolas, contribuiscono in maniera determinante a regalare la qualificazione alla propria squadra nel match di ritorno.
Per la squadra di Di Francesco si tratta di un’impresa destinata a rimanere nella storia del calcio. Alzi la mano chi davvero pensava che ci fosse anche una minima chance che i giallorossi riuscissero a segnare almeno tre gol al Barcellona senza subirne nemmeno uno. Ed è andata proprio così, con la Roma che contro ogni pronostico è scesa in campo con un solo obiettivo in testa, con undici giocatori che remavano tutti nella stessa direzione, ed è riuscita a dimostrare che con impegno, abnegazione, spirito di sacrificio e, soprattutto, unità d’intenti, è possibile scalare anche le vette apparentemente insormontabili e, di conseguenza, togliersi le soddisfazioni più gratificanti.
La Roma, dunque, è tra le quattro migliori squadre d’Europa e torna tra le semifinaliste di Champions League dopo ben 34 anni: nella stagione 1983-1984, infatti, la Lupa guidata dal Barone Nils Liedholm eliminò gli scozzesi del Dundee United in semifinale, approdando alla finalissima, disputata proprio all’Olimpico, arrendendosi al Liverpool soltanto ai calci di rigore, dopo l’1-1 maturato al termine dei tempi regolamentari e supplementari. Anche i Reds sono tra le semifinaliste di quest’edizione, avendo eliminato i connazionali del Manchester City (3-0 ad Anfield Road, 1-1 al City of Manchester Stadium), al pari del Bayern Monaco, che ha sconfitto il Siviglia di Vincenzo Montella (successo per 2-1 in Spagna, 0-0 in Germania nella gara di ritorno), e del Real Madrid, impostosi sulla Juventus.
Proprio i bianconeri erano ad un passo dal ricalcare le orme della Roma, essendo riusciti nel difficile compito di rimettere in equilibrio la situazione al Santiago Bernabéu, chiudendo il primo tempo sul 2-0, grazie alla doppietta siglata dall’ariete croato Mario Mandžukić, già a segno nella finale di Cardiff dello scorso 3 giugno, in cui illuse la Vecchia Signora col gol del momentaneo 1-1 prima dell’intervallo. L’ex centravanti di Wolfsburg, Bayern Monaco e Atlético Madrid, schierato titolare da Allegri, è letteralmente scatenato e firma entrambe le reti con due poderosi colpi di testa, permettendo ai suoi di ridurre il gap con le merengues, apparse poco lucide in fase offensiva e tutt’altro che solidi in quella di copertura.
Nella ripresa, le cose non cambiano: il Real Madrid continua ad avere un approccio particolarmente passivo, non riuscendo mai a rendersi concretamente pericoloso dalle parti di Buffon, mentre la Juve continua a spingere con convinzione e personalità, raccogliendone i frutti poco dopo l’ora di gioco, con Matuidi che mette a referto la rete del 3-0, quella che annulla il pesante ko incassato a Torino nella gara d’andata e dà il via ad un’altra partita, da disputare tutta nella scarsa mezzora finale in cui i padroni di casa hanno l’obiettivo di evitare i tempi supplementari. Proprio negli istanti conclusivi della gara, in pieno recupero, accade quel che non ti aspetti: l’arbitro punisce un intervento scomposto di Benatia in area di rigore ai danni di Lucas Vázquez, Buffon non ci vede dalla rabbia e si fa espellere per proteste, concludendo presumibilmente così la sua carriera in Champions League.
Allegri è costretto a gettare nella mischia Szczęsny in luogo di Higuaín, il portiere polacco intuisce la conclusione di Cristiano Ronaldo, ma il portoghese lo batte con un’esecuzione impeccabile, risultando freddo e glaciale nonostante l’enorme pressione del momento, sfogando tutta la tensione accumulata negli istanti precedenti con la trasformazione e l’esultanza liberatoria davanti ai suoi tifosi, euforici per un verdetto che fino alla gara d’andata sembrava assicurato e che, fino a pochi secondi prima del calcio di rigore siglato da CR7, appariva tutt’altro che scontato. Il calcio è anche questo, un meraviglioso quanto inafferrabile gioco in cui nulla, ma proprio nulla, può essere dato per appurato e immutabile.
E così, l’uomo che più di ogni altro ha recitato un ruolo di primo piano nelle ultime edizioni della Champions League, di cui peraltro è il miglior marcatore della storia (120 gol in 150 presenze), ossia Cristiano Ronaldo, avrà un’altra possibilità di vincere il trofeo, mentre Gigi Buffon, la cui carriera e il relativo spessore internazionale non necessitano di presentazioni, resta ancora a bocca amara, costretto ad uscire di scena dopo aver accarezzato l’impresa che avrebbe potuto dare l’ennesimo tocco magico alla carriera del numero uno bianconero. «Avrei firmato per chiudere la mia carriera in Champions League in uno stadio come il Bernabéu», parole che non lasciano spazio ad interpretazioni o a equivoci quelle di Buffon, che sembra destinato a ritirarsi dal calcio giocato al termine della stagione attualmente in corso.
Roma e Juventus, dunque, avevano lo stesso compito e, pur non essendo riuscite a portarlo a termine entrambe, hanno ambedue dimostrato di essere due squadre vere e che, soprattutto, il calcio italiano ha ancora le carte in regola per dire la sua sul palcoscenico continentale ed internazionale. Sia i giallorossi che i bianconeri sembravano spacciati, ma hanno spiazzato tutti, andando ad un passo dal riportare due squadre italiane alle semifinali della Coppa dalle grandi orecchie, cosa che non accade addirittura dal 2003, anno del trionfo del Milan, in cui, oltre ai rossoneri, tra le migliori quattro squadre d’Europa c’erano anche l’Inter e la stessa Juve. La sensazione, però, è che proseguendo di questo passo, le squadre italiane potranno presto alzare in maniera considerevole l’asticella e tornare a porsi obiettivi ben più ambiziosi e significativi.
Dennis Izzo
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Coordinatore editoriale di Voci di Città, nasce a Napoli nel 1998. Nel 2016 consegue il diploma scientifico e in seguito si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Tra le sue tanti passioni figurano la lettura, i viaggi, la politica e la scrittura, ma soprattutto lo sport: prima il calcio, di cui si innamorò definitivamente in occasione della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006 in Germania, poi il basket NBA, che lo tiene puntualmente sveglio quasi tutte le notti da ottobre a giugno. Grazie a VdC ha la possibilità di far coesistere tutte queste passioni in un’unica attività.
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