Svariata gente si cimenta in diverse arti tentando di ottenere un risultato sempre unico nel suo genere e che lo renda esclusivamente attribuibile all’artista stesso. A Catania, Giulia Fraticelli, in arte FratiGrafie, ha raccolto nelle sue foto un misto di colori sensazioni e movimento. La redazione di Voci di Città l’ha personalmente incontrata per una breve intervista sulla sua idea di fotografia e sui suoi progetti in crescita (tra l’altro solo la pagina Facebook ha già più di 1000 fan).
Ciao Giulia. Qual è la tua idea di fotografia? Hai una definizione personale o altro che possa pienamente descriverla?
G: «Non mi piace darne una definizione in quanto non è mai a senso unico. A me piace trarre dal mondo una determinata cosa per poi provare a spiegarla con la fotografia. Non ho un genere specifico perché amo adattarmi; insomma, dove mi metti sto (ride, ndr). Tuttavia, ho qualche preferenza in materia di soggetti: in primis la donna, in secundis il movimento e le sinuosità, come ad esempio quelle di un ballerino. Bisogna capire il soggetto, sai? Ci vuole collaborazione, il dialogo non deve mai mancare; deve venirsi a creare un legame tra fotografo e fotografato».
Doveroso è chiederti quali progetti sei riuscita a realizzare in queste campo, parlacene un po’.
G: «Ho iniziato presentandomi all’Art Factory 2013 (mostra annuale di arte contemporanea che si tiene a maggio presso Le Ciminiere) per la sezione giovani, detta Young Factory e creata per fare in modo che i galleristi vedessero qualche nuovo talento. Presentai il progetto “Irenessia”. Al momento della votazione presi gli stessi voti di un altro fotografo: fummo i due vincitori. I primi classificati avrebbero avuto diritto ad uno spazio privato dove allestire una mostra personale all’interno dell’Art Factory vero e proprio l’anno successivo misi in mostra “COR/CORDIS”. Parallelamente, sempre nel 2014, ho esposto al locale Oxidiana “Blu – Metamorphosis”».
Nomi più che intriganti, spiegali meglio singolarmente partendo da “Irenessia”.
G: «Partiamo dal 2013: il nome “Irenessia” è composto dalle parole Irene e anoressia. Una mia omonima amica che soffriva questo problema in maniera davvero pesante mi ha chiesto di farle delle foto per far sì che lei stessa si rendesse conto di come si stava riducendo; insomma voleva vedersi come la vedevano gli altri, in particolare io. Mi spiegò che le serviva per guarire e naturalmente fui felicissima di poterla aiutare. “COR/CORDIS”, invece, raffigura una ragazza, totalmente avvolta dalle corde che sta in una sala nera. È frustata dalle corde come frustrata dalla vita, è in perenne lotta per slegarsi da ciò che la lega. Il progetto è molto personale, questo soggetto mi somiglia molto: oserei definirlo autobiografico. Quest’ultimo si evolve poi in “Blu-Metarmophosis”, un po’ come se fosse un iter di tre tappe (la terza deve essere ancora definita). Nel suddetto ho immortalato la reazione del corpo della modella, nonché ballerina, una mia cara amica di nome Cristina Di Marco, nel momento in cui veniva a contatto con un misto di tempera blu (il mio colore preferito che, al contrario di quanto molti sostengono, è caldo) e lattice, il quale mischiato al colore fa in modo che la sostanza ottenuta si attacchi alla pelle causando del soffocamento cutaneo: mi piace vedere come reagiscono i corpi al contatto con le materie. La modella, quindi, iniziava a grattarsi per scrostarsi di dosso questa tempera, si stava togliendo il suo primo strato di pelle, era come se stesse mutando».
Francesco Raguni
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