Uno studio del Washington Post sulle famose principesse della Disney rivela alcuni retroscena inediti.
Tutte le principesse Disney sono le protagoniste dei lungometraggi animati che sono entrate a far parte del nostro immaginario: La Sirenetta, Mulan, Biancaneve, Cenerentola e Pocahontas. C ‘è stata un’evoluzione negli stereotipi anche per quanto riguarda le principesse, sembra infatti che il primo gruppo rappresentato da Biancaneve, la Bella Addormentata e Cenerentola sia conforme a uno stereotipo di donna senza passioni spiccate, senza talenti e senza un interesse prevalente in un qualsiasi campo d’azione, il che è molto lontano da quello che siamo soliti conoscere oggi. C’è stato un balzo temporale dalle prime protagoniste dei Grandi Classici, appartenenti agli anni dell’Epoca d’oro, della Guerra e d’ Argento fino ai cosiddetti primi cartoni moderni dell’Epoca del Medioevo e del Rinascimento Disney. Nel 1989 con l’uscita de La Sirenetta c’è stato il primo cambiamento, poiché la protagonista di nome Ariel incarnava un tipo di eroina capace di opporsi alle sorti del suo destino senza esserne semplicemente succube e lottava per modificarlo, il tutto con uno scambio verbale ben più abbondante.
Il Washington Post ha pubblicato uno studio di due linguiste Carmen Fought e Karen Eisenhauer che pone l’attenzione su quanto parlino poco le principesse della generazione moderna rispetto a quelle degli anni 50-60. Esaminare attentamente lo studio dei modelli femminili proposti dai cartoni è essenziale per capire come si orientano le bambine che ne prendono visione e su di essi cominciano a sognare il loro futuro. Dallo studio è emerso che sono proprio le principesse della vecchia generazione a parlare di più rispetto ai cartoni della seconda generazione, ovvero – quelli realizzati tra il 1989 e il 1999- come Aladin, La Sirenetta, Mulan e Pocahontas in cui si dà più rilievo al dialogo maschile. Nonostante l’avanzare degli anni e lo sviluppo del personaggio femminile, nella nuova generazione troviamo protagoniste con un carattere più definito, ma ciò non basta, poiché esse sono affiancate a coprotagonisti o aiutanti maschili che risultano sempre più loquaci.
«É importante approfondire gli studi su questi film, per capire come la mente dei bambini processi le informazioni e le comunicazioni in essi contenuti » afferma la ricercatrice dell’Arizona Dawn England. Biancaneve (1937) e Cenerentola (1950) erano le classiche principesse di sventura che si ritrovavano a lavare le scale, a sognare il principe azzurro, con la loro pelle chiara e la voce melodiosa, casalinghe quasi per imposizione che si prendevano cura di nani e topolini e la loro massima aspirazione era quella di poter sognare in un dolce lietofine delle loro sventure. Vediamo poi come in un cartone più recente come La principessa e il Ranocchio (2009) la protagonista Tiana è una ragazzina che sogna in concreto di poter aprire un ristorante coronando il suo sogno, non legato per forza alla sfera amorosa, riuscendo così a raggiungere il suo obiettivo con il duro lavoro. In tutto ciò, però, vediamo che alla fine un principe toccherà in sorte anche a lei, quindi almeno in questo non differisce molto dal solito programma narrativo dei classici cartoni.
Dopo Mulan (1998) infatti alla Disney sono serviti dieci anni per riproporre delle nuove eroine femminili, si può affermare che almeno in parte il rapporto dei dialoghi è finalmente cambiato: in Raperonzolo le donne parlano per il 52% del tempo, in Frozen per il 59%, mentre in Brave si arriva infine al 74%, percentuali esorbitanti rispetto alle precedenti epoche. Parte del miglioramento è dovuto alla composizione dei team di realizzazione dei nuovi cortometraggi, in cui sono presenti prevalentemente delle donne. Altra differenza basilare negli ultimi cartoni recenti come- Rapunzel (2010), Ribelle (2012), Ralph Spaccatutto e il già citato Frozen (2013)- c’è un ribaltamento, nel senso che le protagoniste non diventano principesse dopo il loro matrimonio con un principe, ma lo sono già e in molti casi sono loro a far dono del titolo nobiliare e principesco ai fortunati partner. Con Frozen vediamo un altro balzo in avanti, poiché viene messo in discussione il classico “amore a prima vista”, il primo abbaglio che Biancaneve e Aurora hanno invece dato per scontato ritrovandosi poi a dover essere immobilizzate nel sonno per un lungo tempo; nel cartone,come vediamo, il colpo di fulmine per la co-protagonista Anna si rivela un tragico errore, per poi arrivare a capire che il suo vero amore era dato da un sentimento costruito a poco a poco con la frequentazione e l’amicizia- un po’ come era successo nel La Bella e la Bestia (1991) con l’aggiunta di drammaticità degli eventi e spirito di sacrificio.
Nei lungometraggi precedenti le principesse venivano celebrate per il loro sguardo e per le caratteristiche fisiche, ora invece i complimenti vanno ai loro aspetti caratteriali e alle loro molteplici capacità dimostrate in ogni impervia situazione, mostrando gran competenza e performanza. Come sottolinea il Washington Post «É un aspetto molto importante perché i bambini sono molto più motivati da una lode o da un complimento che riguardi le proprie abilità, piuttosto che il loro aspetto» proprio per questo i lungometraggi moderni forniscono un modello costruttivo adatto e pensato proprio per i più piccoli. Sono tutti segnali di un cambiamento notevole, basti pensare anche alla stessa conformazione della Walt Disney, dove le donne nello Studio fino a poco tempo fa erano quelle che trasferivano i disegni degli animatori su celluloide per poi andarli a dipingere e tutto ciò le rendeva estranea all’attività artistica vera e propria. In conclusione non ci resta che appellarci al motto della Walt Disney “if you can dream it, you can do it” e aspettare come si evolveranno le nuove protagoniste e che tipo di storytelling proporranno.
Elisa Mercanti
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