Fino a che punto la donna nel marketing italiano è da considerarsi bistrattata, utilizzata come mero oggetto del piacere maschile, oppure come rappresentazione dell’imporsi del desiderio femminile, del valore della libido anche della donna, che merita anch’ella di godere del proprio corpo senza inibizioni, senza vergogna, senza quella volgarità con la quale viene raffigurata in misura sempre maggiore nel cinema a luci rosse di matrice eterosessuale? È innegabile, infatti, l’unione tra sensualità corporea e oggetto fisico, che vede la donna fin dai tempi degli antichi greci come simbolo di erotismo, incarnato nella dea Afrodite e protagonista nell’arte nel corso dei secoli, dalla Venere di Milo a quella di Botticelli. La voluttà di matrice artistica si traspone poi nel mondo della pubblicità, associando inesorabilmente la figura femminile al piacere sensoriale, del gusto, dell’olfatto, del tatto, dove il prodotto si trasforma in allegoria del corpo e il corpo in allegoria del piacere e dell’erotismo. Una correlazione esaltata negli iconici spot dello yogurt della Müller, dove amore e sapore diventano un tutt’uno; abusata negli spot della Saratoga, dove la sessualità diventa un gioco di potere; trasformata in fonte di forza, potere ed autoaffermazione nei profumi, come per J’Adore di Dior, dove la protagonista Charlize Theron si libera dei propri abiti per liberare il proprio corpo, o per La Vie Est Belle di Lancôme, dove Julia Roberts sfugge alle imposizioni della società per affermare la propria libertà di donna.
Il caso dell’auto è uno molto particolare, acceso fin dalla sua invenzione. Per D’Annunzio, «l’automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice». Non a caso, quindi, l’auto si è subito affermata come oggetto reale del desiderio, dell’eccitazione, quasi un’estensione del corpo femminile. Tuttavia, ciò non si limita all’uomo: le forme e la potenza delle auto sportive attraggono lo sguardo femminile molto più del semplice stereotipo della “macchina dell’uomo che attira le donne come api al miele”. La realtà è diversa: studi rivelano che almeno 3 donne su 10 vedono l’automobile come oggetto del proprio desiderio. Se analizziamo per esempio lo spot dell’Alfa Romeo Giulietta del 2012, possiamo vedere un legame chiaro tra sinuosità dell’automobile e sensualità della donna, ma anche un parallelo di passione, resistenza, vigore. E se gli stereotipi sessisti da anni 50′, forzati dal maschilismo imperante del Dopoguerra che voleva la donna condannata a fare la casalinga, ancora tardano a perire in Italia, anche le femmine richiedono il loro ruolo con voce sempre maggiore per ripulire il connubio donne e motori da onta e pregiudizio infondati. Anche gli esponenti del genere femminile si appassionano, vogliono avere voce nel mondo delle vetture, come piloti, come designer, come manager, perché anch’esse provano la medesima attrazione per le auto provata dagli uomini. La vera donna al volante è quella dell’emblematico spot della Fiat Idea Black Label, dove le donne, madri ed in carriera, impongono il loro volere e i loro bisogni con un’auto che le rispecchi, dove anche loro hanno il potere di affermare la propria libertà oltre gli stereotipi.
In che direzione stiamo andando? Vince l’oggettificazione alla D&G, dove la donna viene tenuta a terra dagli uomini, anch’essi, comunque, trasformati in meri oggetti, o vince la posizione progressista della Durex, dove si esalta il corpo femminile come sorgente di piacere sia per l’uomo che per la donna, e dove le donne hanno il diritto di esplorare come desiderano la propria sessualità ed il proprio erotismo? Se marchi come American Apparel si affidano a delle drag queen come simbolo estremo della donna per trasformare gli uomini in oggetti del desiderio, si assiste forse ad un ribaltamento dei ruoli di genere nel marketing, o ad un nuovo assestamento di genere, atto a valorizzare il piacere femminile quanto quello maschile?
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