Da ieri, giovedì 30 luglio, è stata ufficialmente aperta la “caccia all’uomo” per trovare Walter Palmer, il dentista americano che, intorno al primo di luglio, ha cacciato e ucciso Cecil, l’amatissimo leone simbolo del Parco Nazionale Hwange dello Zimbabwe. Non appena conclusa l’impresa, il bracconiere ha lasciato lo stato africano per tornare a Eden Prairie, quartiere nella periferie di Minneapolis in Minnesota, dove vive e conduce l’attività dentistica nel proprio studio; a nulla è valso però il tentativo di far perdere le tracce facendo ritorno negli Stati Uniti: le autorità dello Zimbabwe lo hanno già riconosciuto colpevole, anche grazie alla confessione dei due complici che il dentista avrebbe assoldato per adescare Cecil fuori dalla zona protetta del Parco.
Per potersi dedicare alla sua passione, cioè cacciare e scuoiare animali selvaggi, Palmer ha sborsato ben 50mila dollari, divisi tra il cacciatore di frodo che ha attirato il leone fuori dal parco ed un fattore del luogo, nel cui terreno Cecil avrebbe trovato la morte. Una morte sopravvenuta dopo 40 lunghe ore di agonia: il dentista americano, con l’aiuto del suo complice, ha prima stordito la preda con una freccia avvelenata, aspettando pazientemente che il felino diventasse inoffensivo, dopodiché gli ha reciso la testa e tirato via la pelle per poterle portare con se come “trofei” da esibire per vantarsi dell’impresa. Un’operazione che, non appena scoperta dagli operatori del parco Hwange, gli è valsa l’accusa di bracconaggio e l’odio dell’intera popolazione dello Zimbabwe, che da 13 anni considerava ormai Cecil vera e propria mascotte dello Stato. Poche ore dopo la scoperta della morte del leone, era già stata messa online una petizione da rivolgere all’attenzione del presidente Mugabe affinché fermi i permessi di caccia dei turisti che si recano in Zimbabwe per dedicarsi a quest’attività.
Anche sui social network le reazioni di animalisti, attivisti e semplici amanti degli animali non hanno tardato ad arrivare: migliaia i post su Facebook in cui si reclama giustizia per Cecil, mentre su Twitter è stato addirittura lanciato l’hashtag #CecilTheLion; ad aggravare ulteriormente la posizione del dentista americano, infine, sta il fatto che l’animale, oltre ad essere il preferito del Parco, facesse anche parte dal 1999 di un progetto di ricerca dell’Università di Oxford (motivo per cui portava al collo un GPS).
A nulla sono valse le scuse che Walter Palmer ha rivolto allo Zimbabwe ed alla memoria di Cecil tramite un comunicato stampa nel quale ha dichiarato: «Sono andato nello Zimbabwe per partecipare a una battuta di caccia con l’arco. Ho assunto diverse guide professioniste e loro hanno assicurato tutti i permessi. Per quanto ne sapevo io, questo viaggio era legale e gestito in maniera appropriata. Non avevo idea che il leone colpito fosse un animale conosciuto e popolare, avesse un collare e fosse parte di uno studio, fino alla fine della caccia; sono profondamente dispiaciuto per il fatto che la pratica di un’attività che amo e faccio responsabilmente e legalmente sia risultata nella morte di questo leone».
Scuse che si stenta a reputare credibili per via della recidività di Palmer, già accusato nel 2006 di aver cacciato ed ucciso un esemplare di orso nero in una zona del Wisconsin dove la caccia non era permessa, e che in ogni caso non basterebbero comunque a giustificare l’uccisione di un animale per il semplice gusto di farlo. Intanto, mentre il dentista latita nascondendosi dietro il suo ufficio stampa, è già allarme per i cuccioli di Cecil: scomparso lui, si teme infatti Jericho, nuovo maschio dominante del Parco, li uccida per affermare ulteriormente la propria supremazia.
Simona Raimondo
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