Si chiama The Clock is Ticking, è stato caricato su YouTube già da quattro anni, ha iniziato ad avere una certa risonanza nell’ultimo mese ed è un’iniziativa organizzata da The Girl Effect, il movimento che ha come obiettivo la fine della povertà per le adolescenti, per le loro famiglie, per le loro comunità, per i loro Paesi e per il mondo, come si legge in inglese nel sito ufficiale.
Ennesimo di numerosi progetti del movimento, il video spiega tramite musiche ed animazioni accattivanti e d’impatto quale sia la soluzione più semplice per cambiare la spiacevole condizione di molte giovanissime. Nell’arco di poco tempo ha iniziato a fare il giro del mondo. Di quale mondo, però? Di quello virtuale, ossia di chi possiede un computer. Non solo: del mondo di chi ha il tempo e la voglia di guardare dei video come questi. Del mondo di chi, nell’imbattersi in The Girl Effect, avverte anche solo un minimo di slancio. Del mondo di chi può, quindi, permettersi il lusso di provare solo interesse e di non provare sulla propria pelle il problema.
Questo è il mondo di chi non può cambiare il mondo, il mondo di chi resta seduto a casa a leggere statistiche, articoli di giornale sempre più preoccupanti e tanto fantasiosi quanto teorici modi per limitare i rischi di HIV e AIDS tramite YouTube. E The Girl Effect parla solo e soltanto a questo mondo, perché usa uno strumento che non è di tutti e che non raggiunge tutti e che, anzi, non raggiunge in particolare i diretti interessati e coloro che potrebbero concretamente agire sul problema per risolverlo. Quale sarebbe la soluzione, altrimenti?
Precipitarsi su due piedi in un Paese scelto a caso del Terzo Mondo, prelevare una dodicenne e portarla indietro con sé affinché abbia diritto a cure mediche ed istruzione pubblica, prima che l’orologio continui a muoversi? La percentuale di chi lo farebbe spinto solo dalla visione di un tale video è bassissima; ancora più debole è il numero di chi avrebbe la possibilità economica per farlo; quasi rasente lo zero la disponibilità ad intraprendere una vera e propria lotta contro la burocrazia per riuscire nell’intento. Facile da immaginare, a questo punto, la percentuale di chi, pur riuscendo nell’intento, sarebbe poi capace di garantire l’integrazione razziale, l’affetto necessario, un’adeguata situazione familiare della suddetta dodicenne e di garantire, qualche anno dopo, la continuazione di tale catena quantomeno per una generazione.
Anche ammesso che simili percentuali sfortunate aiutino qualche decina di ragazzine, ciò non significa che il problema si possa considerare risolto, limitato o in procinto di scomparire. Miliardi di persone continuerebbero a rimanere nella stessa condizione e non perché non ci sia abbastanza gente pronta ad adottare bambine, quanto perché ad essere riformati dovrebbero essere centinaia di sistemi socio-politici, sanitari e dell’istruzione, peraltro basati su una visione distorta e parziale del ruolo della donna a livello umano, familiare e sociale.
Davvero basta un corto di tre minuti per far fronte a tutto questo? Davvero basta navigare su internet per cambiare le sorti di circa metà della popolazione mondiale? Davvero ammirare iniziative del genere le rende efficaci e realistiche? Davvero il mondo del web sente di avere la coscienza leggera, quando applaude a tali progetti e poi ricomincia a vivere nel menefreghismo per il resto della propria esistenza?
Eva Luna Mascolino
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