L‘argomento mafia è sempre un argomento spinoso.
Lo è soprattutto per quelle disgraziate terre preda di omuncoli e parassiti pronti a spolpare un tessuto sociale già fragile e, molto spesso, abbandonato da tutti. Un virus, ecco: la mafia è proprio come un virus che si sposta continuamente verso un corpo più ricco. Agisce come un’infezione e, se non viene fermato, per la vittima non ci sarà nulla da fare.
Per questo esistono gli anticorpi, per questo esiste l’antimafia.
Dal periodo stragista ne sono passati di anni, sono cambiate molte cose: è cambiato il modus operandi della mafia, sempre più strisciante ed in simbiosi con la società, sono cambiati gli uomini, ma è anche cambiata la nostra cultura e sono cambiati gli strumenti per estirpare l’eterno virus della mafia. Laddove c’era l’eterna omertà oggi ci sono uomini e donne capaci di reagire e denunciare, l’Italia è piena di questi esempi.
Sia ben chiaro: la guerra non è vinta, anzi, forse oggi più che mai bisogna tenere alta la guardia. Abbiamo conosciuto coloro che hanno coraggiosamente denunciato le condotte mafiose, abbiamo visto anche paladini dell’antimafia trasformarsi in paladini della mafia, dando vita alla cosiddetta “mafia dell’antimafia”.
È proprio la diffusione della “mafia dell’antimafia” a destare rabbia e preoccupazione, il perché è presto detto: può mai una persona mettersi in prima linea contro la mafia, avendo però l’appoggio della mafia stessa? Oppure, può mai un uomo, che si occupa di mafia, divenire egli stesso con il suo comportamento, un mafioso a tutti gli effetti? Tutto ciò sembra un ossimoro, ma purtroppo non lo è affatto.
Impossibile non citare il “sistema Montante”. L’ex presidente degli industriali siciliani Calogero Antonio Montante è stato definito il “padrino dell’antimafia” dal giornalista Attilio Bolzoni che per primo ha smascherato il reietto. Montante è riuscito perfino ad ingannare diverse associazioni anti racket come “Libera”, era insomma un simbolo e come tale era da imitare. Doccia fredda, anzi gelata.
Montante è stato condannato in primo grado a 14 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo a sistema informatico. La vicenda è attualmente in corso, ma la gravità dei fatti è cosi ampia da aver coinvolto anche altri paladini dell’antimafia come l’ex senatore Beppe Lumia e l’ex presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta. Una vicenda che però non ha ancora messo la parola fine, forse il peggio deve ancora arrivare.
Non vengono risparmiati nemmeno i giudici: è il caso della giudice Silvana Saguto, condannata in primo grado a otto anni e mezzo per la gestione illegale dei beni sequestrati a Cosa Nostra. È finito nel “tritacarne” anche Roberto Helg – presidente della camera di commercio di Palermo – che auspicava la necessità di combattere il pizzo. Ebbene, Helg è stato condannato in appello a tre anni e otto mesi per avere chiesto una tangente ad un imprenditore. Vicende tristi e sconcertanti, ma non ci sono solo cattivi esempi, ci sono anche altri uomini che non sono finiti vittime o complici del sistema mafioso.
Ci avevano provato con Pino Maniaci, il baffuto giornalista di Telejato. Pino Maniaci venne accusato di estorsione nel 2016, un’accusa che avrebbe potuto compromettere la sua carriera e le sua battaglie contro Cosa Nostra. Il giornalista è stato inserito da Reporter Senza Frontiera tra 100 eroi mondiali dell’informazione. Maniaci, che ha ricevuto diversi riconoscimenti, è conosciuto in Italia e all’estero. Ecco perché, quando nel 2016 venne accusato di estorsione, per tutti gli estimatori fu un giorno nefasto.
Pino Maniaci ha provato la sua innocenza e l’8 aprile 2021 viene assolto con formula piena dall’accusa di estorsione perché il fatto non sussiste.
Recentemente è tornato nuovamente in onda, facendo – a modo suo – gli auguri al boss Matteo Messina Denaro.
Oltre al coraggio, c’è anche della dolcezza nell’antimafia. È il caso dell’imprenditore Giuseppe Condorelli, capo dell’omonima azienda dolciaria. La recente operazione “Sotto Scacco” è anche frutto di chi ha avuto il coraggio di denunciare.
“Mettiti a posto o ti facciamo saltare in aria, cercati un amico”, una minaccia di morte che non lascia scampo ad altre interpretazioni. Ma l’imprenditore Condorelli non ha alcun dubbio e non cede al virus della mafia, attiva subito gli anticorpi e denuncia tutto. Passano anni, ma alla fine tutto porta ad un dolce finale: 40 arresti e la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta, la consapevolezza di provare a lasciare alle nuove generazioni una terra meno aspra.
E la consapevolezza di fare la cosa giusta l’ha avuta anche Giuseppe Piraino.
Piraino è l’imprenditore siciliano che ha detto no al pizzo e alla mafia mostrando la foto dei giudici Falcone e Borsellino. Il suo video denuncia è divenuto virale, non solo per il coraggio, ma anche per la forza simbolica del mostrare la foto dei due giudici eroi.
Così com’è divenuta molto conosciuta la vicenda delle tre sorelle Napoli residenti nel comune siciliano di Mezzojuso (PA), per anni zona sotto controllo del boss Bernardo Provenzano.
Le tre sorelle Napoli hanno infatti subìto diversi ricatti e attentanti dalla mafia dei pascoli, ma ciò non le ha scoraggiate. Hanno denunciato, hanno combattuto contro il silenzio omertoso, hanno subito la lontananza dello stesso sindaco di Mezzojuso, ma soprattutto hanno pagato il fatto di essere donne.
Non sorprende quindi che il comune sia stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Ina, Irene e Anna Napoli, nonostante l’isolamento, hanno continuato nella loro battaglia contro le ingiustizie e hanno scoperchiato il sistema omertoso che non aveva colpito solamente la loro azienda, ma l’intera comunità.
L’esempio lanciato dai giudici Falcone e Borsellino è ancora forte e ben radicato. Sebbene molto spesso non tutte le vicende hanno un lieto fine, è doveroso continuare a fornire esempi di lotta alla mafia.
Bisogna farlo soprattutto per le nuove generazioni, che per mera questione anagrafica, vedranno come un lontano ricordo ciò che ha significato la mafia stragista. Dice bene Giuseppe Condorelli, quando sottolinea che oggi più che mai non ci sono più alibi e bisogna denunciare.
Va ricordato che la lotta alla mafia o l’antimafia non sono un palcoscenico dove sfoggiare il proprio narcisismo, sono la necessità di riportare la legalità in terre martoriate e, citando Giuseppe Condorelli: “È per i miei figli e per la Sicilia”.
Benito Rausa
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