Il 19 luglio di 28 anni fa moriva assassinato Paolo Borsellino. In quel periodo lo stesso giudice palermitano non aveva mai nascosto di sentirsi “un condannato a morte“. Furono molte, infatti, le interviste che lo stesso rilasciò a numerosi emittenti. Lo scopo? Denunciare quel clima di isolamento a cui venivano costretti giudici, forze dell’ordine e collaboratori di giustizia. Una mancanza di risposte da parte di chi doveva dare un segnale serio e deciso alla criminalità organizzata. Un’omissione che costò cara proprio al più esposto di quel periodo, dopo la morte del collega e amico Falcone.
Paolo Borsellino, dopo aver pranzato durante quel caldo 19 luglio, si recò dalla madre. Doveva accompagnarla per una visita medica, dunque si recò con la scorta in via Mariano D’Amelio, al civico 21. Sotto l’abitazione era parcheggiata una Fiat 126 come tante. Al suo interno, però, era stata imbottita di tritolo. Una volta che il giudice si fermò sotto la casa della madre, si materializzò la strage. La bomba riecheggiò per tutta Palermo, lasciando una nube di fumo nero su quella zona della città.
Quello spaventoso boato portò via non solo Paolo Borsellino ma anche i cinque agenti della scorta che erano con lui. Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cossina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima poliziotta italiana caduta in servizio. Da quell’attentato mafioso solo l’agente Antonino Vullo ne uscì illeso. In quell’esatto momento stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta, scampando da una morte certa per puro caso.
Dei giorni seguenti è storia nota. Il 24 luglio, 10.000 persone parteciparono ai funerali di Borsellino, con la famiglia che rifiutò categoricamente il rito di Stato, con l’apice della Repubblica al seguito. Le più alte cariche statali parteciparono invece ai funerali dei 5 agenti della scorta, dove però vennero pesantemente contestati dalla folla. L’assenza dello Stato italiano non era più percepita solo dai principali protagonisti di quegli anni. Era ormai questione di dominio pubblico.
Uno dei colleghi di Borsellino, Antonino Caponnetto, non nascose mai i dubbi su quello straziante 19 luglio 1992, di cui celebre fu il suo “è finito tutto” davanti le telecamere. Lo stesso ha ribadito qualche tempo più tardi che il giudice ucciso dalla mafia chiese parecchi giorni prima di rimuovere i veicoli sotto casa della madre. Era a conoscenza del suo destino? O quella fu un’infelice, quanto esatta, intuizione? Caponnetto, denunciò la totale inerzia dell’apparato statale: “Ancora oggi aspetto di sapere chi osse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze“.
28 anni sono passati da quella strage che ha sconvolto la Sicilia e l’Italia intera. Tanti ancora gli interrogativi, che si ripropongono di anno in anno, durante questa triste ricorrenza.
Francesco Mascali
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