Non sono pochi coloro che preferiscono il buio alla luce solare: la notte avvolge, ripara, nasconde e risponde al comune bisogno di estraniarsi dal mondo circostante, di restare da soli con sé stessi allontanando le proprie ansie dai riflettori di critici improvvisati. D’altro canto, c’è anche a chi per le stesse ragioni il buio fa paura. Un quesito accomuna, però, entrambe le categorie: come orientarsi nell’oscurità ed evitare ostacoli imprevisti? I pipistrelli, piccoli predatori notturni, ad esempio, nel corso dell’evoluzione hanno sviluppato – come anche delfini e balene – un sofisticatissimo sistema di ecolocalizzazione, che consente loro di muoversi nello spazio senza l’ausilio della vista, soltanto emettendo da naso e bocca ultrasuoni prodotti dalla laringe. Le onde sonore, propagandosi in tre dimensioni, rimbalzano quando incontrano degli ostacoli e l’eco che viene riflessa, una volta analizzata dal cervello, trasmette le informazioni riguardanti l’oggetto con cui si è appena interagito. I suddetti mammiferi volatili sono dotati anche di una sorta di memoria uditiva, che permette loro di ricordare certe caratteristiche spaziali senza averle mai realmente viste.
Secondo alcuni studiosi spagnoli, anche gli esseri umani, seppur con l’emissione di ultrasuoni di frequenza inferiore rispetto agli animali, sono in grado di orientarsi nel buio, grazie a questa sorta di radar biologico che è l’ecolocalizzatore, fermo restando che per poter imparare a sfruttare queste capacità uditive è necessaria della pratica. «Con due ore al giorno per un paio di settimane si è in grado di distinguere un oggetto davanti e con altre due settimane si distinguono marciapiedi e alberi» è quanto affermato dal ricercatore Juan Antonio Martinez. Sono in particolare i non vedenti ad allenare l’udito in modo da tale da “vedere” attraverso di esso. «Alcuni uomini nati ciechi ne sono capaci. Riescono a vivere normalmente e a svolgere attività come andare in bicicletta e giocare a palla». Non a caso, un’accurata ricerca portata avanti dal dottor Melvyn Goodale, della University of Western Ontario, in Canada, ha provato che tale facoltà, in alcuni soggetti, sostituisce quasi completamente il senso mancante: i ciechi ecolocalizzatori, infatti, attivano le stesse aree preposte all’elaborazione degli stimoli visivi.
«I nostri esperimenti dimostrano che l’ecolocalizzazione può essere considerata come un sostituto sensoriale efficace della visione, perché permette di riconoscere persino la forma, le dimensioni e le proprietà materiali degli oggetti» è, invero, quanto l’esperto sostiene. Attraverso semplici suoni prodotti con la lingua o con lo schiocco delle dita, dunque, sarebbe possibile riconoscere non solo la presenza di determinati oggetti, ma anche le loro caratteristiche qualitative e quantitative, nonché la distanza degli ostacoli stessi. Confrontando le attività cerebrali tramite la risonanza magnetica funzionale di cervelli di individui vedenti e non vedenti, “ecolocalizzatori” e non, è stato per di più rilevato che i segnali sonori derivati da particolari superfici o materiali attivano la corteccia paraippocampale negli ecolocalizzatori esperti, ma non in tutti gli altri soggetti. Tutto ciò non smentisce (anzi, conferma) la presenza di suddetta capacità: anche le orecchie più sopraffine sono talvolta vittime delle cosiddette illusioni ottiche e percettive. Chiamati a valutarne il peso, si lasciano, infatti, spesso ingannare dalle dimensioni di quanto percepito, al pari dei vedenti.
Proprio con l’intento di migliorare la consapevolezza di sé all’interno dell’ambiente, è stata lanciata dalla giovane studentessa reggiana Irene Lanza una startup (SoundSight Training) capace di ridare la vista a chi ne è privo, ancora una volta attraverso l’udito. Si tratterebbe di un software capace di simulare varie ambientazioni, il che permetterebbe al non vedente munito di cuffie di mandare un input sonoro attraverso un microfono, così da ascoltarne poi l’eco e allenarsi a riconoscerla. «È proprio come imparare a nuotare – aggiunge la studentessa – siamo tutti predisposti a nuotare in mare aperto, ma prima dobbiamo cominciare a galleggiare in una piscina». Da mesi ormai è partita su Kickstarter una campagna mondiale di crowdfunding: l’obiettivo è raccogliere 250mila euro per sviluppare un prototipo accessibile e aperto a tutti, affinché chiunque possa utilizzare l’interfaccia e imparare l’ecolocalizzazione. Finanziato sulla stessa piattaforma è, inoltre, il videogioco Perception, un survival horror in prima persona di The Deep End Games, il cui titolo si riallaccia alle vicende di una donna cieca di nome Cassie, la quale si ritrova a confrontarsi con luoghi diversi in periodi di tempo differenti. Cassie possiede il talento dell’ecolocalizzazione, che le permette di osservare ciò che la circonda attraverso i rumori, rappresentati da una luce azzurra capace di guidarla.
In ogni caso, l’ecolocalizzazione va ben oltre la fantasia e avvolge l’intera realtà delle cose e, soprattutto, delle persone. Gli esempi concreti di coloro che quotidianamente usufruiscono di tale potenziale, infatti, non mancano. Il non vedente Daniel Kish, oggi di oltre quarant’anni, avendo perso la vista da bambino ha nel tempo imparato ad orientarsi nello spazio attraverso gli impulsi sonori. «Mi chiamano Batman e per me è un onore. Ma, in fondo, in ogni sfida c’è un buio incognito e io non mi sento straordinario» è quanto riferisce in una conferenza. Uno degli allievi di Kish, che normalmente insegna la sua tecnica di sopravvivenza e adattamento alla World Acces for the Blind californiana e che è stato chiamato fino in Scozia è Ethan Loch, ragazzino cieco riuscito a entrare alla prestigiosa St. Mary’s Music School di Edimburgo, sebbene prima non in grado di essere autonomo nei movimenti.«Una parte di me voleva solamente crollare a piangere. Poi ho compreso che, se avessi ceduto, lo avrebbe fatto anche lui. Volevo che si godesse l’infanzia» è quanto ammesso, invece, dalla mamma di Ben Underwood, che ha appreso del retinoblastoma del figlioletto quando lui aveva solo due anni. Ma Ben, nonostante il male lo abbia portato via a soli sedici anni, è sempre riuscito con forza a superare l’invalidità della malattia, imparando, anche lui, a vedere con le orecchie e perfino raccontando la propria storia in un documentario.
Ecco come appaiono le vicende di chi è in grado di trovare una via d’uscita anche durante l’incombenza di un’oscurità perenne, di chi è capace di concentrarsi su ciò che possiede e non su ciò che non ha, di chi non si arrende e impara a credere che si possa “vedere” anche senza il senso della vista. D’altra parte, come scriveva Antoine de Saint-Exupéry, «l’essenziale è invisibile agli occhi».
Concetta Interdonato
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