20 mila euro di risarcimento alla figlia: è questa la condanna pronunciata dalla Corte di cassazione nei confronti di una donna avvezza a parlar male dell’ex marito. Per la prima volta il Tribunale di ultimo grado interviene in una scottante questione che attanaglia molte famiglie, di cui unico testimone è l’instabilità psicologica dei figli.
Infatti sempre più frequentemente si parla di sindrome di alienazione genitoriale (PAS), la condizione dei bambini costretti ad ascoltare la repressione che i genitori (spesso divorziati) manifestano reciprocamente. Oltre ad affrontare il dolore della separazione famigliare, i figli diventano spesso canale di sfogo delle frustrazioni degli adulti, i quali denigrano l’altro coniuge affinché anche la prole lo odi. Il bambino (ma anche l’adolescente o, addirittura, giovane uomo) subisce un vero e proprio lavaggio del cervello che produce effetti distruttivi nella sua psiche: disfunzioni sessuali, schizofrenia, scatti improvvisi d’ira sono solo alcune delle conseguenze che il figlio può mostrare. Spesso le vittime di questa forma di manipolazione credono di arrivare da soli alla conclusione che il genitore alienato sia di cattivo esempio, non accorgendosi che il loro pensiero è frutto di un vero e proprio lavaggio del cervello; per questo motivo sono loro stessi ad allontanarlo con scuse banali o moti di rabbia (ad esempio «non voglio vederlo perché non mi paga le lezioni di danza, che persona cattiva!»): il padre o la madre alienato, così, pensano di essere d’intralcio al benessere del figlio e rinunciano a malincuore a vederlo. In Italia il 75% delle alienazioni genitoriali sono perpetrate da donne, le quali, non riuscendo nel proprio intento di separare i figli dal padre, arrivano a denunciare falsi abusi sessuali che il marito avrebbe compiuto nei confronti della prole. È questo il caso esaminato dalla Cassazione, la quale ha anche deliberato che la signora risarcisse di 15 mila euro l’ex marito ingiustamente accusato di seviziare la propria figlia.
Ci si separa perché la convivenza è diventata intollerabile: così, in un’altra circostanza, un uomo ha chiesto che il divorzio fosse addebitato alla moglie, la quale costantemente si doleva con i figli dell’indole fedifraga e violenta di lui. Ma la Cassazione ha saputo discernere questi casi da quelli in cui le lamentele della madre sono solo frutto di repressione. L’uomo, in questo caso, è stato ritenuto il vero responsabile della separazione: la causa della rottura del rapporto non può essere in sé la circostanza che la madre renda impossibile il proseguimento della convivenza a causa delle sue lamentele sul tradimento subito, ma il fatto stesso che il marito l’abbia tradita.
Claudia Rodano
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